Karim Benzema, dalle banlieue al Pallone d'oro

Il centravanti francese solleva il riconoscimento personale più ambito nel mondo del calcio. L'inizio tirando calci nei parchi di periferia alle porte di Lione, la concorrenza con Ronaldo e quel ruolo da mattatore finalmente suo

Benzema esulta dopo l'ennesimo successo: stasera può vincere il pallone d'oro
Benzema esulta dopo l'ennesimo successo: stasera può vincere il pallone d'oro

Casa è conficcata dentro un canyon di palazzoni grigi tutti uguali, che rigano la linea dell’orizzonte. Quello del suo futuro Karim lo intravede incerto. Succede quando nasci nella banlieue di Terraillon. Il posto è Bron, quarantamila anime alle porte di Lione. Qui il tramestio che si leva dalle malconce file di abitazioni popolari racconta sentimenti contrapposti: c’è chi si accartoccia nello sconforto e chi inspira voglia di rivincita.

Benzema appartiene decisamente a questo secondo gruppo. E stasera, con il Pallone d’oro conquistato nella patinata Parigi, il deposito della memoria gli chiede il conto. Rammenterà forse, Karim, di quando costringeva mamma Malika a scendere in strada per voi avviarsi verso il parco più vicino. “Ecco, vedi, tu stai lì: gli alberi sono la porta”. Lei era sfinita e accennava soltanto qualche timida presa. Lui avrebbe segnato comunque, anche si fosse buttata.

Magari gli tornerà in mente anche di quel muretto scalfito dalle sue pallonate corrosive. Destro e sinistro, a ripetizione, anche quando tutti gli altri fischiettavano già sotto la doccia. La lastra di cemento martoriata si trova ai bordi del campo da calcio dello Sporting Club Bron Terraillon, un posto dove all’inizio gli avevano pure sbattuto la porta sul naso. “Mi dispiace ragazzo, ma siamo al completo”, lo aveva inizialmente liquidato l’allenatore, tal Frédéric Rigolet. Era vero: stagione già iniziata e tutti i ruoli assegnati. I parenti stretti di Karim però non ci sentono e chiedono che venga inserito in squadra lo stesso. “Provatelo un paio di volte, poi ci fate sapere”. Da quel momento mamma non dovrà più buttarsi al parchetto. Karim diventerà un perforatore seriale di giovani retroguardie altrui. Un giorno ne fa un paio anche contro il Lione: i dirigenti abbarbicati in tribuna iniziano a redigere un contratto mentale.

La sua scalata è inarrestabile. Nel 2004 conquista il centro dell’attacco della prima squadra: segnerà 43 gol in cinque anni, ma non è ancora questa la sua dote più scintillante. Benzema si rivela fin da subito un formidabile regista offensivo. Uno che sa aprire corridoi urticanti per gli avversari e prodigiosi per i compagni. Conducono tutti verso la porta. Non sono particolari dimenticabili e in molti prendono nota. Finché un giorno, nel 2009, il telefono che trilla è l’anticamera di un futuro regale: lo vuole sua maestà il Real Madrid. Fa la valigia senza pensarci un istante.

Non ci si dive attendere per forza un percorso luccicante. Lo spogliatoio delle merengues sa essere un antro abitato da concorrenza feroce. Gonzalo Higuain e Cristiano Ronaldo sono molto più che semplici compagni di ventura. Karim continua a bucare la porta come fossero gli alberelli del parco, ma al loro fianco scivola nelle scomode vesti di scudiero. Forse stasera gli scorreranno davanti alle palpebre tutti quegli spazi aperti per il fenomeno portoghese. Tutte quelle sponde per il centravanti argentino. Al Real è sempre nel cast principale, ma mai protagonista.

Con la Francia non va molto meglio. Le accuse ricevute per il surreale caso Valbuena lo affossano. Da centravanti titolare, diventa in fretta un traditore della patria ed un reietto. È un passo brevissimo, ma per riprendersi servirà un percorso che pare infinito. La rappresentazione più nitida di una nazionale riconquistata, a forza di gol e prestazioni, è tutta racchiusa nell’ultima Nations League vinta.

Lo scarto interiore più ampio si consuma però con la casacca immacolata del Real. Quando Higuain e Ronaldo levano le tende, lui inizia a salire di grado. Scopre che le responsabilità gli piacciono parecchio e che, probabilmente, è rimasto cucito nell’ombra altrui – pur segnando sempre caterve di gol, beninteso – troppo a lungo. L’ultimo anno certifica quello che probabilmente deve essere l’apice di questa rinascita.

Karim si carica la squadra sulla schiena e inizia a srotolare un calcio di lignaggio superiore. Destro e sinistro a ripetizione, come contro quel muretto. I suoi sono tutti gol pesantissimi: ogni volta che il Real annaspa e sembra sul punto di cedere, lui lo riporta a galla. Più che una scialuppa, è una sentenza. Sbatte letteralmente fuori dalla Champions PSG, Chelsea e Man City. Solleva la coppa da capocannoniere. Vince il titolo anche in Spagna. Pure lì è capocannoniere.

Adesso ha ricominciato esattamente da dove si era interrotto. Il gol al Barcellona, nel clasico appena andato in scena, è soltanto l’ultimo macigno di una sequela infinita, lunga quanto quel canyon urbano a Terraillon. Nella nuova edizione del Pallone d’oro si vota l’anno sportivo e non più quello solare.

Da estate a estate, il suo è stato un viaggio invincibile. È il premiato più vecchio dopo Stanley Matthews.

Stasera probabilmente il ricordo sfumerà in sorriso. Dalla sua banlieue a Parigi, in fondo, la strada non è mai stata troppo lunga.

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