Beffa sì, rabbia no. Bergamo sa restare con i piedi per terra anche davanti all'eliminazione più amara della sua piccola ma brillante storia europea. Si può recriminare sul modo in cui la sconfitta è arrivata, quando tutti ormai si sentivano in tasca l'incredibile semifinale di Champions, ma non si può razionalmente dimenticare che l'Atalanta era già arrivata a un livello inimmaginabile. Il sorriso disteso di Gian Piero Gasperini davanti alle telecamere a pochi minuti dalla beffa atroce è lo spot più bello dell'avventura bergamasca: chiunque altro avrebbe potuto aggrapparsi a tutto per non accettare quella sconfitta bruciante, alla sfortuna, all'arbitro, alla differenza di fatturato invocata spesso da tanti suoi colleghi. Invece no, perché Gasp è il primo a sapere che l'Atalanta era già andata oltre ogni aspettativa: la sua missione non era quella di vincere la Champions, quella spettava a chi fino al 90' stava rischiando l'ennesimo flop, sperperando altri milioni.
Gasp sa che la Champions è sempre appesa a un filo, ai dettagli come dice Mourinho, ma il tecnico bergamasco si lascia scappare un altro termine, che forse fotografa più realisticamente l'avventura. Parla di episodi, perché sa che una volta i colpi di scena giocano a tuo favore (i due gol dello Shakhtar a Zagabria oltre il 90' che hanno tenuto in corsa un'Atalanta altrimenti già spacciata) e una volta contro, come l'altra sera tra il 90' e il 93' con il PSG.
L'Atalanta ha avuto il pregio di saper prendere l'ultimo treno, ma non va dimenticato che aveva raccolto un solo punto nelle prime quattro partite del girone, incassando 4 gol a Zagabria e 5 a Manchester. Poi il riscatto con la Dinamo e l'impresa con lo Shakhtar e soprattutto le due notti straordinarie con il Valencia. Ma onestamente come si faceva a chiedere di più ai nerazzurri? Luca Percassi ha puntualizzato che il calcio è meritocratico, dunque è giusto che la Champions la faccia chi se lo merita, risposta forse alla famosa gaffe di Andrea Agnelli, ma adesso dovrà riconoscere che anche l'accesso alle semifinali è meritocratico. Nel senso che alla fine va avanti chi ha i campioni, non chi corre tanto ma perde lucidità al momento della resa dei conti. Anche se questo non può essere un capo d'accusa per una squadra che non è stata costruita per arrivare fin qui. Il PSG ha vinto anche senza Verratti e Di Maria e con mezzo Mbappè, l'Atalanta senza Ilicic e con mezzo Gomez ha scoperto i limiti inevitabili di tanti giocatori di grande cuore ma di poca esperienza a questi livelli.
Semmai la vera sfida sarà ripetersi l'anno prossimo, perché adesso tutti conoscono la Dea, anche in Europa.
Percassi, da abile politico, è riuscito a farsi dare 40 milioni da Banca Intesa, uno sponsor che molti in Italia si sognano, è riuscito a realizzare uno stadio da Champions a Bergamo, adesso dovrà anche fare un mercato adeguato e magari puntare su qualche italiano in più. Per un anno puoi fare il Leicester d'Italia, ma il Leicester in Champions chi l'ha visto? L'EuroAtalanta, invece, spera di non essere una meteora.
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