La grande speranza bianca è un film di successo di ogni storia sportiva. La boxe l’ha cercata, per anni, fra i pesi massimi dopo l’addio di Rocky Marciano. Il basket americano ci punta di tanto in tanto. L’atletica comincia a porsi il problema: troppi neri nel mezzofondo, neri troppo forti nella velocità. Ci sono perfino neri svizzeri e norvegesi. In questo senso lo sport è un po’ razzista,a dispetto dell’immagine. Cerca più speranze bianche che speranze nere. Il nero piace, attrae, esalta. Il bianco diventa un idolo. Stasera la finale dei 200 metri non ci darà speranze bianche, al massimo un’alternativa bianca:un francesino,bello,armonico e quasi statuario, con la mamma originaria di Bologna e il papà della zona di Bergamo. Non è un caso citare le origini italiane. Christophe Lemaitre è bianco panna, europeo e terrà alta la bandiera, ma al massimo potrebbe battere il record continentale (19’’72) ancor oggi nella tabella ricordo di Pietro Mennea. Vista la semifinale di ieri (3˚ dietro Blake e l’americano Spearmon e ripescato con 20’’03) sarà già un miracolo salire sul podio.
Il resto, ovvero prendersi l’oro è problema da fenomeni. Dici fenomeno e pensi( dici) Bolt. Così forte oggi da sembrare un vincitore per tutte le stagioni. Se Lemaitre insegue Mennea, Bolt insegue la sfida dell’immortalità. Nessuno fra i bianchi medagliati d’oro negli ultimi 50 anni sui 200 avrebbe tenuto il confronto con il missile giamaicano: il greco Kostas Kenteris, ultimo (Sydney 2000), il russo Valery Borzov, e due italiani Livio Berruti e Pietro Mennea. E questa è l’unica spilla al petto nazionale: dal 1960 ad oggi due italiani hanno vinto, il resto è stato made in Usa(17 ori) e dintorni.
Ma in tutto questo nessuno che abbia messo la faccia sulla doppietta olimpica dei 200: ci provò Carl Lewis. Aveva già vinto a Los Angeles(1984)ma a Seul l’eternità gli venne soffiata da Joe De Loach, scudiero preferito del Santa Monica track and field club, che gli passò davanti eppoi vinse poco e niente. Ci provò Michael Johnson, ma saltò per aria prima di cominciare: s’intossicò in un ristorante di Salamanca mangiando frutti di mare alla vigilia dei giochi di Barcellona ’92. La sua anima svuotata acchiappò solo un sesto posto, quattro anni dopo ad Atlanta si sfogò con il record del mondo(19’’32).
Dunque la storia dice a Bolt che c’è sempre una trappola sulla via dell’olimpo. Non si può scherzare. Ieri sera il Bolt power è stato devastante per il morale degli avversari. Usain ha corso, anzi non ha corso. Cento metri per mettersi davanti ai compagni di semifinale, poi una corsetta da tapis roulant. Gli altri dietro e lui ad attenderli. Nonostante tutto non ce l’hanno fatta. Tempo demenziale per le abitudini(20”18)e assoluta decontrazione. Molto più sprintata la corsa di Yohan Blake nella prima semifinale (20”01)impegnato dall’americano Spearmon e dal viso pallido Lemaitre. Insignificante l’altra semifinale dove l’olandese Martina (20”17)ha anticipato il terzo giamaicano Warren Weir che, probabilmente, prenderà il posto di Asafa Powell anche in staffetta. Vista ieri,non c’è gioco:Bolt fortissimamente Bolt, magari con un tempone. Se poi Bolt troverà in Blake il suo De Loach... peggio per la storia. Per ora la «Bestia» è stato il miglior punto d’appoggio.Lo ha raccontato Usain: «Blake è il mio motivatore. Quando mi ha battuto ai Trials mi ha fatto riflettere. Qui devo darmi daffare, altrimenti a Londra salto per aria». Se ne sono visti i risultati. Blake campione del mondo dei motivatori. Per il resto si vedrà.
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