Allez la France! Allez l'Italie! Chissà mai cosa griderà in cuor suo Andrea Giani. Stasera gli tocca la partita del cuore. Lui ct dei francesi della pallavolo, la squadra campione olimpica, contro la nazionale con la quale tante volte ha provato a vincere i Giochi. E il medagliere segnala ancora zero. Per lui e per l'Italia. Sfida che vale la finale. Comunque vada ci sarà un italiano in finale. E Giani, quando vede azzurro, tira sgambetti. È approdato alla Francia nel 2022, ma vive in Italia. A dicembre scadrà il contratto. «Poi si vedrà».
Giani, eccoci a Francia-Italia. Sensazioni?
«Immaginavo sarebbe successo. Ho cominciato ad allenare nel 2015 e spesso l'ho ritrovata tra quarti e semifinali. Ero convinto l'avremmo incontrata».
C'è piacere o dispiacere?
«Mi fa piacere. Giocare una semifinale ai Giochi credo sia obbiettivo di entrambe. Significa aver fatto super risultati. E questi sono i Giochi più difficili della storia. Con il cambio di formula è diventato un torneo difficilissimo, che non ti permette di sbagliare. Arrivarci non è stato semplice per entrambe. Nella vecchia formula tu potevi perdere tre partite e vincere le Olimpiadi. Con questa no».
Fra l'altro voi siete campioni olimpici.
«Fa peso giocare in Francia, essere campioni. Però, fra tutte le vincitrici, solo gli Usa hanno vinto due volte di fila. Confermarsi nel torneo e giocare una semifinale è già un bel traguardo».
Giani è il peggior avversario, visti i trascorsi...
«No. Vero che quando ho preso la Slovenia era 39° nel ranking e nel 2015 abbiamo battuto Polonia, campione del mondo, e l'Italia in semifinale agli Europei. Poi perso con la Francia. Con la Germania, nel 2017, abbiamo battuto gli azzurri nel girone. Ma l'anno scorso ci hanno randellato in semifinale».
Dunque come finisce la semifinale?
«La pallavolo è meritocratica. Non inganna. Le possibilità sono create dal campo. Se giochi meglio vinci. Non puoi giocare peggio e farcela. Non senti la pressione: è dettata dalla qualità del gioco».
Nei quarti Italia e Francia, contro Giappone e Germania, hanno vinto e sofferto in egual modo.
«Contro due squadre forti. Piccola differenza è che il Giappone ha avuto diversi match point. Noi non li abbiamo concessi. Entrambe abbiamo ribaltato il match. Entrambe cresciute nel match. È un valore».
Quindi oggi che partita sarà?
«Dipenderà dal nostro livello di gioco. L'Italia ha qualità di gioco e costanza rendimento sempre alta. Noi dobbiamo adeguarci. Dipenderà da noi far diventare lunga la partita».
Quale uomo toglierebbe all'Italia?
«Purtroppo i titolari sono veramente forti. Dire togli uno non fa un danno straordinario. Sono davvero completi. Il modo di giocare è straordinario. È squadra che gioca, batte, mura, attacca: sennò non avresti questa continuità per tanti anni».
Ma con il Giappone?
«Dopo Tokyo ha fatto passi da gigante. È cresciuto molto. Sbaglia poco ed ha fantastica qualità di difesa. Però nel momento difficile l'Italia è stata lì: ha la qualità e la forza di poterlo fare».
In quei momenti il ct Fefè De Giorgi era molto calmo. Dice: non serve gridare. Lei come si comporta?
«Io metto energia ma sono calmo. In allenamento sono diverso. E vi fa capire le esperienze condivise con Fefè in tanti anni. L'allenatore non deve perdere lucidità. Se il giocatore perde lucidità e gli urli nelle orecchie non gli fai del bene. Quando un tecnico mi urlava dietro, ce lo mandavo. Anche Velasco aveva equilibrio nelle partite. In allenamento era altra cosa».
Giani, come si trova in Francia?
«Bene, l'importante è imparare e adeguarsi alla cultura sportiva del Paese in cui vai. Tanti pensano che i giocatori si devono adattare. No, sei tu a doverti adattare. Poi puoi capire come interagire».
L'Italia non vince i Giochi sembra una maledizione...
«Non maledizione. Sono pochi i team che, nell'arco di 40 anni, sono stati costantemente in semifinali e finali. È una grande forza. Per il gioco delle probabilità succederà di vincere».
Ma Giani, italiano con i francesi, cosa proverà?
«C'è il momento degli inni, che è particolare. Poi esistono solo il campo e la tua squadra».
E dopo?
«Non è importante il dopo. Conta il mentre».
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