Millenovecentonovantaquattro, duemilaventiquattro. Sono già trascorsi trent'anni da quel terrificante fine settimana di Imola che ci ha portato via due splendidi ragazzi, Roland Ratzenberger e Ayrton Senna, due piloti dalla storia molto diversa, ma legati dalla medesima passione. Due sportivi che con il loro sacrificio hanno però svegliato la Formula uno dell'epoca portandola a lavorare e investire in modo incredibile nella ricerca della sicurezza, contribuendo a salvare tantissimi dei loro colleghi. Se le corse oggi sono quelle che conosciamo, lo dobbiamo al terribile choc di quel week end italiano: il dramma sfiorato al venerdì da Rubens Barrichello, la tragica fine di Roland il giorno dopo e, il primo maggio, la morte di Ayrton. Purtroppo, il motorsport progredisce anche così: nel 2015, proprio in seguito all'incidente del povero Jules Bianchì, è stato compiuto un ulteriore passo in avanti, con l'introduzione dell'Halo a protezione della testa dei piloti.
Ricordo bene quel week end di 30 anni fa. Roland era al terzo gran premio della sua carriera e non conoscevo la sua storia; negli anni successivi ho avuto invece il piacere e l'onore di conoscere e apprezzare suo papà, Rudolf Ratzenberger. È successo durante i suoi numerosi viaggi in Italia. Come ieri, quando qui all'Autodromo Internazionale Enzo e Dino Ferrari di Imola, alla presenza di Rudolf, abbiamo inaugurato la targa in memoria di Roland. Onorati, oggi, di ospitare il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e le autorità brasiliane e austriache.
Diverso il mio rapporto con Ayrton, un rapporto quasi fraterno. Senna, per me, era prima un amico con cui scambiare informazioni e opinioni. Veniva prima il Senna-uomo che il pilota. Il primo incontro risale al 1982 su indicazione di Paolo Barilla. Ayrton correva in Formula Ford e andai a vederlo in Inghilterra: sotto la pioggia diede un giro a tutti. Tornai in occasione della gara a Hockenheim. Invitandolo a cena, gli offrii un contratto da professionista, per correre l'anno successivo in F2 con la Minardi. Fui il primo in assoluto a fargli tale proposta. Forse, proprio da lì, nacque la sua stima nei miei confronti che lo portò a dichiarare di voler concludere la sua carriera in F1 proprio a Faenza nelle fila del Team Minardi. Un sogno, purtroppo, negato dalla Signora con la falce.
Anche se le nostre strade non si incontrarono mai professionalmente, già nel 1983 veniva nella nostra tenda per apprezzare il buon cibo romagnolo. Tradizione mantenuta anche poi negli anni in Formula 1. A seguito del rapporto logorato con Ron Dennis, team principal della McLaren, Ayrton un giorno del 1992 si offrì di correre con me la stagione 1993, prima di passare in Williams nel 1994. Gli consigliai, invece, di proporre a Dennis un contratto a gettone con la McLaren proprio per la stagione 1993.
A distanza di 30 anni, è incredibile come l'amore e l'affetto per questo pilota si tramandi di generazione in
generazione. Un affetto che va oltre le qualità del pilota. Credo sia un evento più unico che raro. Meriterebbe uno studio approfondito.* Amico di Senna, ex costruttore di F1 e ora presidente dell'Autodromo di Imola
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