
Non è il caso di ricorrere alla famosa orazione di Ogni maledetta domenica recitata da Al Pacino in uno spogliatoio tetro e silenzioso. Eppure il fascino, anzi la suggestione è intatta: "Tutto si decide oggi, ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l'altro fino alla disfatta". Avrebbe un senso realistico e una visione più calcistica il passaggio successivo: "farci prendere a schiaffi oppure aprirci la strada verso la luce" che s'addice a quest'Italia partita tra stroncature premature e adesso scortata da squilli di tromba magari eccessivi. Non sappiamo ancora a chi toccherà il compito, una sorta di rito scaramantico, di prendere la parola stasera, dentro le viscere dello stadio di Bordeaux, nello spogliatoio riservato alla Nazionale di Antonio Conte, prima d'incrociare le sagome minacciose dei panzer di Germania. Forse Bonucci, forse Barzaglione, magari al semi debuttante Parolo o a quello spilungone di Pellè considerato un intruso con la maglia numero 9 sulla schiena. Di sicuro ricorderanno, come fece appunto Al Pacino in quel film diventato un pozzo di citazioni, che "nella vita come nel football il margine di errore è ridottissimo" e ancora che "mezzo passo fatto un po' in anticipo o in ritardo e voi non ce la farete". Non sempre, nella storia e nella letteratura delle sfide calcistiche tra Italia e Germania, c'è stato bisogno di un qualche nobile discorso prima della battaglia. E se c'è stato di sicuro è passato inosservato.
Oppure è finito nella cineteca del Quirinale per ricordare ad esempio la visita a Madrid di Sandro Pertini nell'albergo Alameda occupato dalla Nazionale di Bearzot prima d'incrociare Rummenigge e soci poi infilzati con lo storico 3 a 1 nella finalissima del mundial 1982. "I tedeschi sono robusti, cerca di non farti pestare i piedi" così si rivolse a Paolo Rossi, l'hombre del mundial che volò ancora una volta in gol senza che nemmeno le spinte malandrine di Stielike riuscissero a frenarlo. E poi incrociando Bearzot schierato col picchetto d'onore di Zoff e Causio gli anticipò l'esito della notte gloriosa. "Io e Enzo siamo fumatori di pipa, ho spiegato a lui come si chiama questa parte, si chiama fornello, gli ho detto che brucerà le delusioni e le amarezze" ripetè il presidente della Repubblica al microfono di Giampiero Galeazzi prima di insediarsi in tribuna d'onore al Bernabeu dove realizzò uno show quasi pari a quello apparecchiato da Tardelli e Altobelli.
Tanti anni dopo, a Duisburg, periferia di Dusseldorf, la tana di Lippi e dei suoi scudieri partiti con gli occhi bassi per l'esplosione di calciopoli, il ct viareggino fece ricorso a uno scherzo d'altri tempi per spazzare via le tensioni della semifinale di Dortmund, giocata nella tana del grande rivale, una squadra contro un paese intero schierato. "Raccontai la storia di un pesce enorme arrivato chissà come dentro la fontana del nostro ritiro" e per giorni quella favola moderna tenne banco nelle chiacchiere di Grosso e Pirlo, Gilardino e Del Piero ed ebbe la capacità di stemperare la pressione e trasformare un casermone in un allegro asilo. A parlare, di calcio autentico e di mondiale, fu soltanto Marcello Lippi nei giorni tormentati del girone di qualificazione, quando si snodò sotto gli occhi di tutti l'intreccio magico di rivali abbordabili, prima l'Australia poi l'Ucraina di Shevchenko e quindi la Germania in attesa della disfida con Zidane. "Abbiamo davanti un'autostrada" spiegò il ct già dimissionario a quell'epoca per difendere l'onore suo e del figlio Davide.
E su quel tratto d'autostrada l'Italia 2006 sfrecciò diabolica fino a Berlino. È toccato al piccolo Giaccherini il discorso pochi minuti prima di affrontare la Spagna. Non ebbe bisogno di molte parole: "Mezzo passo fatto un po' in anticipo o in ritardo e non ce la faremo più".
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