Domenica, 22 giugno 1986. 35 anni fa. Sullo stadio Azteca di Città del Messico è mezzogiorno, la luce del sole messicano che cade perpendicolare sul campo da gioco gli conferisce un aspetto quasi lunare, metafisico. Sugli spalti ci sono 115.000 spettatori, oltre 1 miliardo di telespettatori è pronto a vedere la diretta tv. Vanno in scena i quarti di finale della tredicesima edizione dei Mondiali di calcio: Argentina- Inghilterra. Lo scrittore e giornalista argentino Andrès Burgo (autore di ‘El partido’, libro su quello scontro epico) è tra i primi a notare alcune caratteristiche che potrebbero rendere quel quarto di finale “la” partita del Mondiale: “La guerra delle Malvinas sullo sfondo con la sua ferita ancora non rimarginata, la violenza tra le barras bravas e gli hooligans, le magliette azzurre degli argentini comprate e ricamate poche ore prima del match, un insolito arbitro tunisino e un prato in condizioni terribili che avrebbe reso difficile il gioco in quel caldo intenso e nell’altura messicana”. Per la cronaca, il direttore di gara designato è Ali Bin Nasser Bennaceur, il primo tunisino ad arbitrare a livelli internazionali così alti. I guardalinee sono il bulgaro Bogdan Dochev e il costaricano Berny Ulloa Morera.
Gli argentini sono arrivati fin lì battendo di misura (1-0) l’Uruguay, mentre gli inglesi hanno travolto il Paraguay 3 a 0. Diego Armando Maradona fino a quel momento ha firmato il tabellino nel girone eliminatorio contro l’Italia, ipnotizzando Gaetano Scirea e il portiere Giovanni Galli con un incredibile tocco di sinistro da posizione defilata. La nazionale di Sua maestà invece ha già trovato in Gary Lineker un cannoniere formidabile che fa sperare in un’ottima figura inglese sul palcoscenico messicano. Si arriva a quella partita in un clima di scontro, di due mondi che si fronteggiano: la cattolica argentina e la protestante Inghilterra, il Sud America sempre desideroso di indipendenza per il suo pueblo e la madre patria del Commonwealth, una democrazia fragile guidata dal radicale Raùl Ricardo Alfonsín e la Corona per eccellenza, quella di Elisabetta II, con premier la lady di ferro Margareth Thatcher. Prima della partita sono botte da orbi tra le due tifoserie; le squadre di club inglesi sono fuori dalle competizioni internazionali dalla tragedia dell’Hysel del 29 maggio 1985 (39 morti) causata dalla furia criminale degli hooligans. Per contro le curve argentine non sono certo dolci di sale, come si dice. Facciamo un passo indietro. Il 13 maggio 1980 a Londra, nel tempio di Wembley, si è giocata un’amichevole tra gli inglesi e gli argentini campioni del mondo in carica (dal 1978). La partita finisce 3-1. Ma il risultato non lo ricorda nessuno. Negli occhi restano impresse le giocate di un predestinato campione ventenne, El Pibe de Oro. È Maradona che al 19° minuto del primo tempo dribbla con un travolgente slalom tre giocatori inglesi e sull’uscita del portiere indirizza il pallone verso la porta con un morbido tocco di precisione, in diagonale: palla fuori di un nulla e pubblico di Wembley in visibilio. Le prove generali di ciò che avverrà in Messico 6 anni dopo, con esiti ben diversi. Torniamo a Città del Messico. L’Albiceleste quel giorno scende in campo con una maglia azzurro scuro, quasi blu cobalto per non confondersi con il bianco regale degli inglesi.
Il primo tempo è brutto. Vuoi il caldo, vuoi l’umidità, vuoi un terreno di gioco tutt’altro che ideale, le squadre sono bloccate sullo 0-0 anche psicologicamente; tutti avvertono l’importanza della posta in palio e le pressioni ambientali. Del resto i due commissari tecnici, Carlos Bilardo el Narigòn e Sir Bobby Robson, passano per due cultori della tattica, quindi mantenimento degli equilibri tra i reparti e delle posizioni dei giocatori il più possibile aderenti ai loro ruoli. Qualcuno ipotizza che Argentina-Inghilterra possa finire ai calci di rigore o tutt’al più essere sbloccata da un semplice episodio. In pochi ipotizzano che i successivi 45 minuti saranno incisi a fuoco nella storia del calcio di tutti i tempi. Il secondo tempo è iniziato da 6 minuti. Maradona duetta con Jorge Valdano ai limiti dell’area inglese. Il centrocampista Steve Hodge s’improvvisa terzino e cerca di spazzare l’area rinviando il pallone. Invece confeziona un campanile verso il portiere Shilton. L’estremo difensore inglese è alto 1 metro e 83 centimetri, ma soprattutto ha un’esperienza già forgiata negli Europei 1980 e nei Mondiali 1982. Maradona è alto 1 metro e 65 centimetri, quindi ben 18 centimetri meno di Shilton che si moltiplicano in elevazione. Eppure el Diez argentino corre e si avventa su quel campanile come un falco. Anticipa Shilton che esce con il pugno guantato proteso nell’aria e insacca il pallone dell’1-0. Dalle immagini tv si vede una mano, quella sinistra naturalmente, che anticipa di poco il colpo della testa inondata di ricci fitti e scuri. Sono frazioni di secondo: Maradona corre a esultare verso la linea del fallo laterale. L’arbitro Bennaceur dà un’occhiata al guardalinee Dochev, che mantiene giù la bandierina di segnalazione e corre verso il centrocampo.
Così fa il direttore di gara, inseguito dagli inglesi inferociti, Fenwick e Hoddle su tutti, che si toccano la mano a indicare l’irregolarità commessa dal Pibe de Oro. Un gol irregolare sblocca la partita. “Un poco con la cabeza de Maradona y otro poco con la mano de Dios”, un po’ con la testa di Maradona e un altro po’ con la mano di Dio, dopo la partita Diego risponderà così a chi gli domanderà della dinamica di quel gol. Passano 5 minuti. Hèctor Enrique, El Negro, un indio esordiente con la selecciòn, recupera un pallone a centrocampo e lo passa a Maradona. Che si gira su se stesso con una piroetta da danzatore e salta in dribbling secco Reid e Beardsley. Poi è la volta di Terry Butcher, lasciato sul posto con una finta a rientrare. L’ultimo a tentare di mettersi tra Maradona e il destino è quello stesso Steve Hodge che ha fatto l’involontario assist per il primo gol. Resta l’estremo difensore Shilton saltato anche lui con un dribbling stretto. Prima che il Pibe de Oro possa insaccare a porta vuota c’è l’inglese Terry Butcher, già saltato in precedenza, che cerca di entrare sulla caviglia di Maradona in un ultimo disperato tentativo (“hai presente cosa significhi calciare in porta mentre uno di 84 chili e un metro e novanta ti cade addosso?” domanderà ironicamente anni dopo Diego a Gianni Minà). Ma non ci si oppone al destino inevitabile della bellezza: il sinistro più forte di sempre mette in rete il pallone del 2- 0. E chissà che non abbia rivisto il diagonale di 6 anni prima uscito fuori di un niente. Il radiocronista argentino Victor Hugo Morales impazzisce di gioia e di commozione durante la diretta: “quiero llorar… gollaaaaazzoooo! Dieggooooollll! Recorrida memorable, la jugada de todos los tiempos… barrilete cosmico, de que planeta viniste?”. Barrilete cosmico, aquilone spaziale, da quale pianeta sei arrivato? Una poesia che solo gli argentini sanno dare alla narrazione del calcio.
Il pallone toccato in solitaria per 11 volte, 6 calciatori avversari saltati (Butcher due volte), 60 metri percorsi in 10 secondi, il continuo bluff di un passaggio imminente al compagno smarcato Burruchaga che non arriverà mai. L’arbitro avrebbe detto in seguito di essere stato pronto con il fischietto in bocca a nella convinzione che gli inglesi avrebbero abbattuto Maradona fermandone la corsa verso la loro porta. Invece nulla. È il gol del secolo. L’onore delle Malvinas riscattato è una lettura politica forzata di quel trionfo sportivo senza pari. Infatti l’Argentina del generale Leopoldo Galtieri che il 2 aprile 1982 aveva invaso le isole Falkland era una dittatura militare criminale che aggrediva un arcipelago inerme e pacifico, possedimento inglese dal 1883. La guerra che ne seguì segnò, assieme alla vittoria degli inglesi il 14 aprile 1982, la nascita dell’astro politico della Thatcher e la fine della dittatura dei generali argentini. Un regime responsabile dei crimini contro i civili argentini (circa 30.000 cittadini considerati dissidenti della giunta militare sparirono nel nulla tra il 1976 e il 1983), su cui il Maradona più politico non ebbe mai dubbi, con parole di netta e inequivocabile condanna. Resta un ultimo omaggio da fare a un comprimario ma protagonista di quella partita: el vasco Julio Olarticoechea.
A 10 minuti dalla fine della partita l’Inghilterra accorcia le distanze portandosi sul 2-1 grazie a un colpo di testa di Lineker su cross di Barnes, inglese giamaicano, perciò scheggia atletica sulla fascia sinistra, vera spina nel fianco degli argentini. Lo stesso Barnes a 3 minuti dal novantesimo va sul fondo e crossa: il portiere argentino Pumpido è scavalcato, Lineker si lancia e sembra riuscire a pareggiare il conto. Ma all’ultimo nanosecondo Olarticoechea si butta verso la riga della sua porta e con la nuca toglie il pallone all’attaccante inglese. La “nuca de Diòs” salvò risultato e mondiale. Fu quella la partita dei Mondiali 1986, più della semifinale e della stessa finale tra Argentina e Germania Ovest. Fu quella la partita della somma sregolatezza, della mano malandrina e peccaminosa usata per segnare, dell’esultanza solitaria, del tocco di destrezza.
E del genio eterno, dell’affresco michelangiolesco della Cappella Sistina, di un gol da vedere e rivedere all’infinito, di un calcio che deve dispensare emozioni per restare quel grande spettacolo colto e popolare che è. Quello fu Diego Armando Maradona, quella fu ‘Arghentina-Inglaterra’.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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