Il giorno del giudizio? Non esageriamo. Per il nuovo Milan cinese l'appuntamento di oggi a Nyon, casa dell'Uefa, è un passaggio sicuramente delicato, ma non una questione di vita o di morte. Marco Fassone ci arriva con la serenità dello studente che ha preparato gli esami con scrupolo: sei mesi di lavoro, di carte, di documenti, da mettere sul tavolo della commissione fair play per esplorare il primo test della storia del voluntary agreement, il piano finanziario agevolato che l'Uefa concede da questa stagione ai club che hanno cambiato proprietà nell'arco dell'anno solare.
Fassone sereno, dicevamo, perché l'ad milanista sa di proporre a Nyon un business plan prudente, certamente molto più realistico di quello consegnato a maggio sull'onda delle indicazioni arrivate direttamente dalla proprietà cinese, che forse aveva un po' calcato la mano sulle prospettive di ricavi soprattutto in Oriente. E spera che la risposta della commissione europea possa essere anche un po' politica, improntata cioè a tenere conto dell'importanza di avere il Milan (che è pur sempre la seconda squadra più titolata nella storia della Champions dietro il Real) tra le protagoniste delle prossime coppe. Un occhio di riguardo che la stessa Uefa potrebbe avere anche con il Paris St.Germain, attenzionato per le spese folli sull'ultimo mercato.
Serenità rossonera che si traduce anche nella consapevolezza che, se l'Uefa dovesse respingere il piano di Fassone, lo scenario che si aprirebbe non sarebbe neppure catastrofico, perché al massimo si tratterebbe di sottostare al fair play ordinario, quello tecnicamente chiamato settlement, che metterebbe il Milan nella condizione già vissuta da Manchester City, Inter e Roma, quella cioè di ricevere una ammenda che potrebbe variare dai 20 ai 30, ai 50 milioni. Il paradosso, fanno capire a Casa Milan, è che il club si troverebbe a pagare una multa per violazioni già autodenunciate nel voluntary agreement. E comunque, poiché le violazioni riguarderebbero i bilanci delle gestioni precedenti, tra la nuova e la vecchia proprietà rossonera ci sarebbe già un accordo per condividere la spesa.
Il viaggio di Fassone a Nyon, insomma, è un po' come quello di Ulisse verso l'ignoto perché oggi potrebbe succedere di tutto: nella migliore delle ipotesi l'Uefa potrebbe accettare il piano e quindi il Milan dovrà poi attrezzarsi per rispettare gli step della proposta, nella peggiore invece il Diavolo finirebbe nel purgatorio del fair play (con tutta la casistica di ammende, mercato bloccato, rosa controllata ecc.), ma ci potrebbe anche scappare una terza via che sarebbe quella di un rinvio a primavera dell'esame della situazione. E, oltre tutto, trattandosi del primo caso assoluto di voluntary, destinato quindi a fare giurisprudenza, non è nemmeno detto che la risposta arrivi già in giornata.
In ogni caso, il lavoro di Fassone, oltre che a Nyon, è già orientato al futuro che ha come obbiettivo primario quello di far partire bene lo sviluppo del piano di finanziamento in Cina. Anche perché, se l'operazione cinese parte bene, è quella destinata a produrre i maggiori ricavi. Oggi un top club europeo porta a casa mediamente 30-40 milioni l'anno di fatturati in Cina, il piano quinquennale di Fassone invece ha l'ambizione di arrivare a due volte e mezzo questo volume di ricavi. Anche per questo, la proprietà ha voluto investire subito pesantemente sul mercato, perché la conditio fondamentale per l'operazione cinese era quella di migliorare l'asset della società, di cui il valore della rosa è parte fondamentale.
Altro discorso, invece, è la prospettiva di migliorare l'asset della classifica, perché i progetti del nuovo Milan miravano a 72-73 punti stagionali per poter centrare il quarto posto, in base ai precedenti delle ultime stagioni.
Ma quest'anno la borsa del campionato è in incredibile rialzo e tutti corrono come pazzi. Quindi se arrivare all'obbiettivo dei 72-73 punti è ancora possibile, non è detto che quella quota garantisca il posto Champions. Facendo così aumentare a dismisura il valore dell'avventura in Europa League.
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