Non era mai successo, prima o poi doveva succedere: un polacco campione del mondo. Non è una barzelletta e non è neppure una stravaganza del caso: da tempo il ciclismo di quel Paese è in netta crescita, già numerose le vittorie, stavolta arriva la più grande e la più bella per merito di un 24enne svelto e sveglio, Michal Kwiatkowski.
Vittoria meritata, vittoria di pregio. Sul tracciato spagnolo di Ponferrada è l'Italia a smuovere un po' le acqua quando manca una novantina di chilometri dal traguardo. Si vedono Aru, Visconti, Giampaolo Caruso, quindi il valoroso De Marchi fino all'ultimo giro. Tentativi coraggiosi, ma non incisivi e letali.
A far scattare l'agguato vero è invece il polacco, che nell'ultimo giro, sfruttando una rischiosa discesa, parte da solo a 6 chilometri dal traguardo e con grande forza riesce a difendere pochi metri fino all'epilogo.
Alle sue spalle, tardiva e confusa la reazione dei big. Tra questi, spariscono gli italiani. Restano i finisseur specializzati, cui però tocca soltanto lo sprint per l'argento. Nell'ordine, sono l'australiano Gerrans e lo spagnolo Valverde (sesto podio in carriera) a dominare la volata.
Per la Spagna una delusione nazionale: aveva puntato tutto, percorso e squadra, proprio su Valverde, non può essere questo ennesimo bronzo a scatenare la festa.
Quanto alla giovane Italia dell'esordiente ct Cassani, voto sette per la volontà e lo spirito di sacrificio, ma ancora insufficienza grave nelle fasi decisive della gara. Ancora una volta, la penosa conferma: siamo forti nelle corse a tappe, ma in quelle in linea ci manca lo specialista dotato di fondo e poi di scatto negli ultimi chilometri.
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