La sensazione è chiara: se le mamme italiane non si decidono una buona volta a scodellarci il bomber della bicicletta, il cosiddetto finalizzatore, cioè l'individuo dotato di fondo per resistere sette ore con i migliori, ma poi dotato anche di scatto letale negli ultimissimi chilometri, fino a quando i reparti maternità non ci annunceranno questo lieto evento, l'Italia continuerà a perdere regolarmente tutte le grandi corse in linea, come avviene ormai da sei anni, campionato del mondo compreso.
Anche l'edizione spagnola, sul circuito di Ponferrada, ci rimanda a casa con lo stesso timbro: bravi, generosi, coraggiosi fino all'ultimo giro, ma inabili al podio. Per farci capire come si fa, chi ci serve, stavolta basta il capolavoro di marca polacca. Polacca, sì, polacca: non è una battuta. La nazione di Walesa e di Wojtyla entra nella storia anche in bicicletta: per la prima volta, maglia iridata. All'inizio un grande lavoro di squadra per controllare la corsa, poi il colpo del maestro. In discesa, a sei chilometri dalla fine, classica stoccata da finisseur. Allungo potente, i big che si guardano un attimo, quell'attimo che diventa fuggente e sfuggente. E' Michal Kwiatkowski, 24 anni, cognome da mal di testa e già ottime vittorie alle spalle, l'interprete perfetto dell'agguato perfetto.
Questo era l'unico modo per disinnescare il volatone dei supersprinter, questo era il sogno di noi italiani sprovvisti di supersprinter. Questa è l'esatta dimostrazione che sapevamo come fare, senza sapere con chi farlo. E non c'è altro da dire. A Kwiatkowski il meritato riconoscimento, al resto della compagnia la consolazione di uno sprint secondario, con l'argento all'australiano Gerrans e il bronzo allo spagnolo Valverde (sesta medaglia in carriera, mai quella vera, e tutta la Spagna a piangersi addosso per la festa nazionale rovinata da un intruso polacco).
Lasciando alla Polonia la giusta esultanza, lasciando alla Spagna la giusta depressione, è meglio se noi ci concentriamo sugli affari nostri. Il nuovo ct Cassani dà voto otto alla squadra, la squadra della ricostruzione, la squadra del futuro. Io direi che l'otto ci può stare per la passione e la fatica che ci hanno messo tutti. Direi che ci sta pure il dieci a De Marchi, che dopo aver movimentato il Tour da cima a fondo va in fuga anche al Mondiale, resistendo fino a una manciata di chilometri dal traguardo, quando il polacco lo passa a velocità spaziale. Il dieci è per la fuga comunque ottima, ma soprattutto per la struggente autoflagellazione finale, da vero patriota, da vero azzurro: «Non ho avuto le forze per seguire Kwiatkowski. Fossi riuscito, magari adesso saremmo qui con una medaglia. La responsabilità in quel momento era mia, toccava a me. Mi spiace tanto». Tanta onestà, troppa onestà. Quasi un masochismo. Tranquillo De Marchi, nessuno poteva chiedergli di più. La sua gara e il suo dopo gara ci rilasciano comunque un'emozione magnifica. Fossero tutti così, gli azzurri di tutti gli sport...
Riparlando del verdetto complessivo: otto giustissimo per l'impegno, ma poi grave insufficienza per l'epilogo finale. Voto tre. Neppure la gestione Cassani si discosta dal destino di tante altre volte: quando la corsa vera comincia, cioè all'ultimo giro, quando i favoriti si muovono e accendono la polveriera, gli italiani vanno subito in cenere. Il polacco se ne va con perfida imboscata, e pazienza. Ma alle sue spalle si muovono i Valverde, i Gerrans, i Gilbert, i Van Avermaet, e proprio in quel frangente l'Italia si dissolve come gelato sulla spiaggia. Non ce la fa Nibali - incerottato e comunque inadatto a questo genere di scatti feroci -, non ce la fa nessun altro. Alla fine, dopo tanta fatica e tante pacche sulle spalle per l'encomiabile spirito di squadra, ci resta in mano il 13° posto del giovane sprinter Colbrelli. Poco, niente.
E comunque: soltanto un ipocrita in malafede potrebbe mettere sotto processo l'Italia di Ponferrada.
Questa Italia è la sublime espressione dell'Italia di un'intera congiuntura, ormai cupa, monotona, interminabile, di questi patetici sei anni senza vittorie nelle grandi classiche. Se le mamme italiane non si danno una mossa, veramente classica diventerà la nostra sconfitta: da otto fino all'ultimo giro, poi avanti gli altri che a noi scappa da ridere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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