Lacrime e champagne. I San Antonio Spurs annichiliscono la resistenza dei Miami Heat bicampioni Nba in carica e si infilano l'anello dopo gara5 al At&T Center, nel cuore del Texas che batte in nero-argento. È il quinto titolo in 18 anni sotto la gestione di coach Gregg Popovich, a 15 di distanza dal primo successo. Era il 1999 quando Tim Duncan, il caraibicio silenzioso uomo copertina degli Speroni, già c'era e si faceva notare (Mvp delle Finali quell'anno). Nella notte, sollevando il trofeo, il numero 21 sembra aver fatto intendere che, a 38 anni suonati, questa potrebbe essere stata la sua ultima stagione. E che stagione... Quella della rivincita: dal titolo perso malamente lo scorso anno quando sembrava già in tasca a pochi secondi dalla fine di gara6 al capolavoro 2014. Con delle Finali dominate dalla prima palla a due e chiuse nella notte con un 104-87 senza appello.
Sul podio a gioire tutta la famiglia Spurs, una babele di nazioni e lingue diverse che solo il carisma e la genialità di coach Pop riescono a tenere insieme. Un caraibico (il Duncan di cui sopra), due francesi (il geniale Tony Parker e l'istrionico Boris Diaw), un argentino (l'immenso Manu Ginobili), un brasiliano (il roccioso Thiago Splitter), due australiani (Aaron Baines e l'aborigeno Patrick Mills sempre decisivo con le sue triple) e un italiano. Sembra una barzelletta, ma è una favola. E nel libro dei sogni entra vestito in canotta e calzoncini anche Marco Belinelli da San Giovanni in Persiceto, hinterland bolognese. «È pazzesco, sono al settimo cielo - dice il Beli, che twitta geniale UnBELIvable (incredibile) -. Sono felice di far parte di questo gruppo e di questa organizzazione. I tifosi sono incredibili». Anche in gar5 l'azzurro ha portato il suo mattoncino alla causa con 4 punti (due nel decisivo secondo quarto al fianco di Manu Ginobili che orchestrava la rimonta). Quello di Belinelli, che quest'anno ha vinto anche la gara del tiro da 3 punti all'All Star Game, è il trionfo della volontà e della caparbietà. Dopo anni passati sui parquet di tutta l'America a ingrassare a furia di brownies, quando Don Nelson a Golden State lo scelse per non farlo ammuffire in panchina, e a cercare il posto giusto. «Ho cercato di migliorarmi come giocatore, per questo ho firmato con San Antonio - racconta -, perché c'è una grande organizzazione, una grande squadra e sicuramente perché voglio vincere. Voglio essere un giocatore migliore e continuare a vincere». E dunque in Texas si fermerà.
Come si è fermato Kawhi Leonard, la vera autentica storia di queste Finali. Mvp con 23 anni ancora da compiere, conosciuto come specialista difensivo, e infatti era l'uomo su LeBron James, si è fatto largo a suon di energia e di triple in attacco. Il ragazzino che a 16 anni ha perso il padre, ucciso in uno sparatoria nel suo autolavaggio, e forse definitivamente il sorriso è diventato uomo. Da quel giorno ha smesso di nominare il genitore, il suo unico punto di riferimento, e parla solo quando è veramente indispensabile.
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