Nico è più italiano di Ricciardo e Massa che hanno origini italiane, è più italiano di Vettel che, come insegnato dal precedente schumacheriano, se guidi la Ferrari diventi un Papa per cui sei italiano a prescindere. Nico non è più italiano solo dei piloti veramente italiani come noto banditi dalla F1 ormai da cinque anni.
Per cui vien da sé che da ieri, a conquista di titolo avvenuta, questo bravo ragazzo 31enne di talento notevole e volontà fuoriclasse sia divenuto per l'Italia in astinenza ferrarista un figliolo solo incidentalmente colorato di biondo e dna finnico-germanico. E poco importa se Nico Rosberg più che italiano sia milanese, nel senso di cultura, di frequentazioni, di amici del cuore tant'è che ieri con Vettel e Verstappen negli specchietti gli sarà certamente scappato qualche «stá sü de doss...» e pensando ad Hamilton che faceva da tappo parecchi «va' da via i ciap...». Anche perché «la cosa che mi piace degli italiani e dei miei amici milanesi è che si lega subito, si può cazzeggiare, anche dire parolacce... è bello».
Bello quasi come le macchinette che il ragazzino figlio di Keke, iridato 1982, recordman con una sola gara vinta nella stagione mondiale (a Nico quasi non bastavano 9), ha usato a lungo unicamente in scala 1:43, dandosi ai kart dai dieci anni in poi. Per dire: con 7 anni di ritardo rispetto a gente come Schumacher, Alonso, Hamilton e Vettel. Di passaporto tedesco per via di mamma, Nico è ufficialmente uno di noi dal podio di Monza di quest'anno, quando mise intelligentemente a tacere i fischi del pubblico, parlando un italiano sicuramente migliore di molti dei presenti tra la folla. Da quel momento qualcuno lo ha accostato alla Ferrari in modo sempre più insistente e se lui possiede la testa che ha fin qui mostrato se ne guarderà bene dal farsi attrarre dal Cavallino fino a che il quadrupede non avrà ritrovato pedigree. Quanto alla milanesità, è lui stesso a sottolinearla perché «i miei amici arrivano tutti da lì, sono i ragazzi conosciuti a scuola a Monte Carlo. Mi erano piaciuti subito, per questo decisi di imparare l'italiano.
Era l'unico modo per entrare in sintonia con loro. Altrimenti, se avessi continuato a parlare solo francese, tedesco, inglese e finlandese, sarei stato destinato alla solitudine». E l'Italia in astinenza ferrarista a non poter far festa.
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