"Le nostre donne più convinte degli uomini"

Il suo addio tredici anni fa: "Oggi i giovani azzurri sono cresciuti troppo specialisti"

"Le nostre donne più convinte degli uomini"
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Adelboden, esterno giorno: 13 anni fa il Maestro diceva addio ai Giochi del 2010. In 40 giorni non avrebbe recuperato da uno stiramento procuratosi in allenamento alla vigilia dello slalom che si corre oggi. «Non lo sapevo ancora ma fu l'addio. Oggi sono felice: il mio lavoro mi da la stessa gioia di quando ero atleta».

Giorgio Rocca, gennaio è il mese degli slalom: i ritmi sono ancora serrati?

«Sai che ti giocherai tutto in poco tempo. Si potrebbe far disputare a Soelden anche i primi slalom, razionalizzando costi e logistica».

Con chi vorresti gareggiare oggi?

«La mia sciata è superata, ma accetterei la sfida con la modernità di Braathen. Odermatt, invece, sarà a lungo l'uomo da battere per la naturalezza nel gesto».

Hirscher, fatte le scarpe a Kristoffersen, ora gli fa gli sci e vince anche così.

«È una delle storie di sport più interessanti».

Perché in Italia non è ancora nato un nuovo Rocca?

«Con Sala e Gross a Garmisch e Della Vite in gigante c'è qualche segnale di risveglio. Razzoli è la certezza nelle difficoltà. Vinatzer è bravissimo quando non esce: deve trovare equilibrio fra l'attrezzatura che esalterebbe le sue doti, ma che spesso non perdona i suoi errori di timing. Più cazzimma per Maurberger e Sala, a Kastlunger serve continuità come dice suo padre, storico allenatore dei Moelgg».

Ci restano le donne e gli ultimi colpi degli uomini jet

«Le signore hanno maggiore convinzione degli uomini, i giovani sono cresciuti troppo specialisti. Ora è stato corretto il tiro in chiave olimpica, ma il gap resta. Goggia, Odermatt, Kilde: chi fa meno strada e tiene lo sci piatto arriva prima».

Che cosa non capiamo in Italia?

«Me lo chiedo anche io: i nostri coach allenano all'estero e crescono campioni, pur non parlando la loro lingua. In Italia non funziona il trasferimento del messaggio o il metodo di come si passa dall'allenamento all'atteggiamento di gara».

Avere il guizzo è quello che insegni nelle tue 5 scuole fra Italia e Svizzera?

«Ci provo insieme a 140 maestri: oggi tutti vogliamo migliorarci. Il nostro motto è find your way: ad un medesimo risultato, ognuno arriva a suo modo».

Hai scritto un libro per fare pace con la prima anche della tua vita?

«No, perché c'era il covid! Ho avuto più tempo libero e, insieme a Thomas Ruberto, con articoli e ritagli, ho rivisto la mia vita in modo diverso».

Hai fatto leggere Slalom ai tuoi figli?

«Vorrei lo leggessero i giovani, perché insegna a non mollare. I figli? Per loro sono un campione delle teche».

Eppure scieranno benissimo!

«Giacomo, 17 anni, preferisce la boxe, ma abbiamo un patto: deve lavorare almeno 4 ore, fa l'aiuto maestro di sci. Tommaso fa discesa, ma in bici! Francesco scia, ma per lui non è tutto, Greta danza e scia».

E il Maestro?

«Sogno ancora ogni tanto la Tre e mi alleno a fare l'apripista riprendendo i giovani in pista: che tecnologia e che fatica!».

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