La maglia numero 3 è solo sua. Anche se prima di lui l’hanno indossata pezzi da novanta come Schnellinger e Maldera. È il milanista per eccellenza, quello che ha giocato di più, quello che ha vinto di più, quello che è partito dalla giovanili e ha chiuso con la stessa maglia, quello che poi è diventato dirigente, l’ultima bandiera di un calcio che forse non tornerà più. Solido come una roccia, bello come un dio, imbarazzante per perfezione. Persino Giacinto Facchetti, che pure ha inventato il terzino che attacca e che segna, allargava le braccia: “L’unico difetto che ha Maldini è che è del Milan…”. Poteva giocare in ogni ruolo, poteva vincere il Pallone d’Oro, ma si sa, i difensori non piacciono alle giurie, poteva persino vincere di più, soprattutto in Nazionale dove è stato capitano (quattro mondiali, sarà solo secondo e terzo), ma è stato per decenni il terzino sinistro più forte del mondo. Per Enrico Currò “la sintesi perfetta della scuola dei grandi difensori italiani, Facchetti più Baresi più Scirea più Cabrini: un campione in provetta non sarebbe riuscito meglio”.
Debutta a sedici anni e sette mesi, sul pullman che lo porta al debutto a Udine è il più piccolo di tutti, ma non il più timido. Liedholm lo fa entrare al posto di Battistini: sulla maglia ha il numero 14. Chiude a quarantuno, libero, o centrale come si dice adesso, come papà Cesare. Un guerriero antico e moderno. Probabilmente inarrivabile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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