"Papà tiferebbe sempre per l'Inter ma con qualche... preoccupazione"

Lo storico avvocato nerazzurro raccontato dal figlio: "Oggi avrebbe 101 anni, quasi la stessa età del suo club del cuore"

"Papà tiferebbe sempre per l'Inter ma con qualche... preoccupazione"

Peppino Prisco, se nel dicembre del 2001 non si fosse addormentato per sempre due giorni prima delle 80 candeline, oggi di anni ne avrebbe 101. Quasi coetaneo di quella sua Inter presa per mano da bambino e che oggi, 9 marzo, compie 115 anni. Prisco è divenuto simbolo meneghino pur nascendo da famiglia napoletana. Come Antonio Romeo per l'Alfa, Eugenio Torelli Viollier per il Corriere della Sera. E il «Lontan de Napoli se moeur» di Giovanni D'Anzi, figlio di pugliesi, oggi non è sol quello di «O mia bella Madunina». Ma anche quello del margine in classifica tra la capolista di Spalletti e i nerazzurri.

Luigi Maria Prisco, avvocato come papà Peppino, sa bene che parole sceglierebbe il genitore per festeggiare i 115 anni della sua Beneamata.

Avvocato Prisco, partiamo dallo stato d'animo di suo padre, nel vedere l'Inter oggi...

«Intanto sarebbe sul pezzo, a tifare. E sarebbe preoccupato il giusto per le sorti economiche, per capire dove si andrà a finire. Io ho fiducia e magari l'avrebbe anche lui. Finora la società sta riuscendo a friggere con l'acqua: tanto di cappello».

È la squadra a non convincerla o parla dell'allenatore?

«La squadra è quel che è, Inzaghi sta facendo cose buone con quel che ha».

Fuori dal campo, dove sta l'anima dell'Inter oggi? Chi la rappresenta?

«C'è Zanetti. Quanto a Marotta, dovremmo baciare la terra dove cammina: è riuscito a fare miracoli».

Nel passato di Marotta c'è una Juve che ora vive la controversa questione delle operazioni di mercato e della penalizzazione. Suo padre non ha vissuto neanche Calciopoli, ma da avvocato che direbbe?

«Non esiste mai niente di obiettivo, altrimenti non ci sarebbero legali e giudici. Io ho avuto modo di leggere le carte e se fossi un tifoso juventino sarei colto da disperazione».

Cosa intende?

«Si potrebbe configurare una penalizzazione significativa, non una stangatina».

L'Inter però ha un altro problema: quello dello stadio. Giusto lasciare San Siro?

«Io non lo farei. Quando leggo di spettacoli o partite di rugby rabbrividisco. Sarei perplesso anche nel portare avanti una soluzione con il Milan, peraltro non percorribile. Una joint venture con loro creerebbe la situazione assurda di doverci rallegrare dei loro successi».

Qual è la dimensione futura dei nerazzurri?

«Ho vissuto l'era dei due Moratti e c'è sempre nostalgia, ma i tempi del mecenatismo sono finiti. A meno che il Bezos di turno si innamori sinceramente di noi...».

Il calcio italiano non tornerà più a essere quello degli anni Ottanta e Novanta?

«La situazione depressa del nostro calcio è stata accentuata dal Covid, dal crollo degli incassi e dei diritti televisivi. Ma questo vale per tutti. Il caso Inter è a parte, perché la proprietà cinese è stata obbligata dal governo alla parola turna indre sugli investimenti voluttuari».

Suo padre che soluzioni suggerirebbe?

«Bisognerebbe contattare una medium. Ma nel futuro ci potrebbe essere un fondo, che può darsi faccia dei calcoli e decida anche di tenersela, un domani, la società».

Perché Peppino Prisco resta ancora oggi icona dell'interismo?

«Diceva piatto quel che pensava. Interisti con la sua intensità ce ne sono stati altri. Ma così amanti del politicamente scorretto nessuno».

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