Chissà cosa avrebbe fatto Antonio Conte se Calhanoglu avesse segnato quel rigore? La domanda si aggirava nei corridoi di San Siro. Inquietante. Il triplice sfogo, alle televisioni, in conferenza stampa, del tecnico di Lecce avvelena non solo il dopo Inter-Napoli. Conte alimenta fantasmi con quel «mi vengono retropensieri» o peggio «non mi sento tranquillo». Meglio pensare che siano parole di distrazione di massa. Dopo la batosta dell'Atalanta, dopo aver subìto in lungo e in largo l'Inter, meglio sviare l'attenzione dal campo. Altrimenti c'è da preoccuparsi. Quello di Anguissa su Dumfries è un rigorino, anche sotto gli standard, per stessa ammissione dell'Aia. Ma il Var non può intervenire. Come in Empoli-Napoli. Eppure in quell'occasione Conte non si vestì da paladino degli allenatori per la sua crociata contro il protocollo del Var.
Gli arbitri sono in una desolante crisi generazionale senza fine. Le responsabilità vengono da lontano, lontanissimo. I colpevoli non si devono cercare qui. Il calcio è stato snaturato con l'introduzione del Var, che ha triplicato la soggettività delle decisioni. Sintonizzandosi con il tecnico del Napoli, esasperando la questione, si può dire che è un altro sport. Ma il protocollo esiste. Punto. Chi l'ha scritto?, sbraitava domenica notte l'ex ct della Nazionale (sic!). Beh le regole del gioco sono messe nero su bianco e basta frequentare gli incontri con gli arbitri per avere chiarimenti. Se necessari. Non esserci non vuol dire non poter parlare poi, ma nemmeno tenersi libero per mettere in atto una strategia comunicativa già vista e rivista. Il primo anno alla Juventus sbottò dopo una vittoria per 4-1 al Parma. Alla fine quell'anno vinse il campionato.
Per questo gli avversari sono avvisati: Conte crede allo scudetto. Quando alza l'asticella della tensione è perché fiuta l'impresa. E a San Siro ha parlato pensando al futuro del campionato, ad accendere i riflettori sull'Inter, probabilmente individuata come principale antagonista. Non un mettere le mani avanti anche se il rischio è di confondersi con le chiacchiere da bar, di finire trascinato nel partito della Marottaleague che spopola sui social.
Conte gioca anche con le parole. Si spinge al limite, lo oltrepassa. Protagonista anche di brutti scivoloni. «Ho visto che la mia ammonizione era quotata a 4... E se mi metto d'accordo con qualcuno a casa e dico guarda mi faccio ammonire...». Un errore solo a pensarlo, figurarsi a dirlo. Battutaccia uscita male si potrebbe derubricare, ma i nemici potrebbero ricordare al tecnico la sua squalifica per omessa denuncia in un caso scommesse. Argomento da maneggiare con cura.
E tutto questo rende ancora più fine a se stesso lo sfogo di Conte che diceva di parlare a nome di tutti gli allenatori. Ma Simone Inzaghi gli ha subito tolto il ruolo di capo popolo: «Parlava per se stesso». Meglio guardare la classifica. Lì si che guida il Conte furioso.
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