Pista e strada: gli opposti delle 2 ruote tricolori

Pista e strada: gli opposti delle 2 ruote tricolori
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L'Italia che corre sulle due ruote non ha mezze misure: o è troppa o è poca. E, soprattutto, di questi tempi ha bisogno di una pista. È troppa quando Filippo Ganna nell'arena scozzese, all'ultimo respiro, centra per la sesta volta il titolo iridato nell'inseguimento, anestetizzando la delusione di sabato del suo quartetto Fab Four solo d'argento. Ed è troppa nel motomondiale, a Silverstone, due ruote a motore, quando l'italianissima Aprilia conquista la seconda vittoria in MotoGp dopo quella dello scorso anno in Argentina, interrompendo il dominio dell'altro marchio italianissimo nell'anima e nell'ingegno ma tedesco nella proprietà: la Ducati. Quattro Aprilia, otto Ducati, più di metà schieramento parla la nostra lingua tecnica, piloti italiani in alta classifica e Pecco Bagnaia campione del mondo in carica con tutte le carte in regola per apparecchiare il bis iridato. Purtroppo però, l'Italia che corre su due ruote appena si allontana dalla pista diventa poca. Succede quando nel pomeriggio assistiamo con accondiscendente stupore al commovente show da wrestler di Bettiol, andato in fuga nel mondiale su strada di Glasgow. Da wrestler perché i suoi sono pugni finti, uno spettacolo pedalante senza la carica che serve per fare davvero male, non perché l'azzurro lesini energie ma perché le energie sono quelle. Le sue come quelle degli altri azzurri. A dirla nuda e cruda, una messinscena a fin di bene.

E per bene s'intende quello del ciclismo italiano e di chi segue questo movimento ricco di buoni corridori ma orfano di campioni nelle classiche e nei grandi giri e a cui non possono bastare, per tornare a sorridere veramente, le imprese sulla pista di meravigliosi uomini razzo come Filippo Ganna e Jonathan Milan.

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