Ventuno anni in trasferta. Gli azeri del Qarabag, avversari questa sera dell'Inter, non giocano una partita casalinga dal 1993, quando la loro città, Agdam, fu bombardata dall'esercito armeno e trasformata nella più grande città fantasma del mondo. La loro casa, l'Imarat Stadium, oggi è un enorme cimitero. Il conflitto del Nagorno Karabakh, regione nel Caucaso meridionale chiusa tra Azebarigian, Armenia e Iran, ha prodotto 30mila vittime e oltre 600mila profughi nell'indifferenza pressoché generale, tanto dell'Occidente, focalizzato all'epoca sulla questione balcanica, quanto all'Unione Sovietica, in avanzato stato di disfacimento. Senza casa né terra, per centinaia di migliaia di profughi (secondo una recente statistica, un azero su otto è uno sfollato o un profugo di guerra) il Qarabag ha rappresentato tutto ciò che rimaneva della loro identità.
E anche oggi che il club è gestito da una potente holding nazionale, la Azersun (settore alimentare e agricolo), è imbottito di stranieri (tra cui l'immancabile gruppo di brasiliani capitanato da Reynaldo, capocannoniere del campionato nella scorsa stagione) ed è perfettamente inserito nell'economia di un paese reduce da uno spettacolare boom economico (Pil in crescita costante dal 2005), il legame con le proprie tragiche radici non si è attenuato. Il padre del centrocampista Vüqar Nadirov, ad esempio, era un generale dell'esercito azero morto durante il conflitto. Altri hanno parenti o amici nei villaggi di profughi nei pressi di Agdam, da dove ogni settimana parte un bus di tifosi, pagato dalla società, in direzione della capitale Baku, distante 250 chilometri, per assistere alle partite casalinghe della loro squadra. Il tecnico Gurban Gurbanov ha trasformando il Qarabag, campione nazionale in carica (unica squadra non della capitale a riuscirci), nel miglior club azero di sempre in Europa.
Storica ad esempio la vittoria sul Rosenborg ottenuta il 23 giugno 2009, nel giorno del 16esimo anniversario della caduta di Agdam.
Prima dell'incontro viene chiesto a un delegato Uefa di osservare un minuto di silenzio. «Chi è morto?», rispose. «Migliaia di persone, perché c'è stata una guerra». Richiesta negata, la Uefa non vuole che si faccia politica. Impossibile, con una storia simile alle spalle.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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