Quando Galliani disse “se manchi la A ti spacco le ossa”

Stroppa: "Ma poi aggiunse che comunque non mi avrebbe esonerato. Lì capii che ce l’avremmo fatta"

Quando Galliani disse “se manchi la A ti spacco le ossa”

Monza. Il segno l'aveva già lasciato nella primavera 1988, quando con il Monza conquistò la promozione in B e una Coppa Italia di serie C. Due stagioni dopo sarebbe tornato al Milan di Berlusconi e Galliani, che l'aveva formato nelle giovanili. In rossonero, 7 trofei, tra cui una Coppa dei Campioni e due Intercontinentali (una con gol). Fino al ritorno a Monza, la scorsa estate. Giovanni Stroppa, 33 anni dopo, quel segno l'ha trasformato in un solco: c'è stato un Monza prima di lui e uno che, 110 anni dopo la fondazione, ora si appresta a vivere la sua prima serie A.

Mister, le attenzioni ora sono tutte al futuro. Facciamo però prima un passo indietro. Appena arrivato, le fu subito chiesta la A?

«Avvertii subito una grande considerazione. Il Monza arrivava da una semifinale playoff, era implicito che la volontà fosse quella».

Un'idea della squadra se l'era già fatta? Seguiva il Monza?

«Seguivo i biancorossi in D e in C, venivo anche allo stadio. È una squadra a cui sono sempre stato affezionato, quando allenavo a Foggia o Crotone cercavo di andarla a seguire, quando mi era possibile».

Saranno stati anche i suoi trascorsi, ma tra lei e la piazza s'è creata subito empatia. Lo ha avvertito?

«Certo. Qui ho amici, ma la stima penso che uno la conquisti nella vita. E io avevo vinto dei campionati e dato anche una sorta di garanzia di ciò che potevo esprimere. Alla fine, è il campo che decide».

E il campo le ha dato ragione...

«Le cose devono concatenarsi, non si vince con le figurine. Si diventa forti con il lavoro sul campo e il lavoro di tutti. Poi, naturalmente, con i giocatori. All'inizio ci sono state difficoltà oggettive, assenze importanti, allenatore nuovo, squadra da rimettere a posto: non era detto che potesse riuscire tutto bene».

Se il Monza non fosse andato in A, lei sarebbe rimasto?

«Un mese fa Galliani mi ha chiamato dicendomi: Se non andiamo in A ti spacco le ossa, però sarai il nostro allenatore anche in B. Questo mi ha gratificato. Dentro di me ho sentito che avrei vinto comunque, per il percorso lavorativo compiuto e per la valorizzazione dei ragazzi».

Eppure questo gruppo a volte ha lasciato presumere qualche difetto caratteriale. Mancanza di un leader in campo?

«Abbiamo avuto tre momenti topici: la costruzione della squadra senza giocatori importanti, con l'esigenza di far giocare chi non era pronto. Poi dicembre, quando avevamo raggiunto una consapevolezza tecnica ripagata dai risultati. Non c'era bisogno di un leader individuale, perché eravamo in grandissima fiducia. Infine è arrivato il Covid, che ci ha fermato per un mese e abbiamo dovuto ricominciare daccapo».

Ma il discorso caratteriale?

«A volte abbiamo dimostrato qualche difficoltà. Ma abbiamo fatto anche grandi rimonte e siamo la squadra che fa più gol negli ultimi 15 minuti: questo è sinonimo di forza».

Proprio dopo il 4-1 a Frosinone, il sogno di A diretta è sembrato sfumare. È stato il momento più difficile, prima del ko di Perugia all'ultima?

«Sul volo di ritorno ero seduto accanto a Galliani. A un certo punto, si è alzato e ha radunato tutti sul fondo dell'aereo e ha detto chiaramente: Sta andando tutto bene. È stato un discorso di positività reale, perché eravamo in crescendo. Ci ha dato grande tranquillità».

Questo è il passato, ma ora il futuro. Se il presidente Berlusconi dovesse regalarle qualche nome ingombrante, è pronto a gestirlo?

«Se è un nome che aiuta il gruppo a fare il salto di qualità, ben venga. Che ne arrivino anche due o tre. Conta solo la professionalità».

Berlusconi in stagione ha avuto parole di elogio per Colpani, che però poco dopo è andato un po' in calando. È stato il peso dell'investitura del patron?

«Io ho sempre cercato di stimolarlo a portare a casa i numeri: nessuno gli può togliere la bellezza estetica del suo modo di giocare, ma deve fare assist e gol».

Di Gregorio (il portiere, ndr), invece, sembra avere recepito l'input del patron: niente costruzioni dal basso, meglio mandare la palla verso gli attaccanti...

«Il presidente a volte viene a parlarmi. Mettere la palla lunga non significa buttarla via, tant'è che dopo Alessandria mi disse che avremmo dovuto cercare di più il fraseggio. Il concetto è che se la difesa ti concede l'uno contro uno e quando una squadra ti pressa alta è normale che sia così hai possibilità di fare male verticalizzando».

Il Monza del prossimo anno che squadra sarà?

«Una base bisogna tenerla, poi non so cosa succederà».

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