Questa povera Africa mangia i ricchi del calcio con la ricetta "fa-da-sé"

Cinque tecnici "autoctoni", federazioni guidate da ex campioni, fisico e scuole del pallone per la svolta

Questa povera Africa mangia i ricchi del calcio con la ricetta "fa-da-sé"

Nella terra del lusso sfrenato è l'Africa terzomondista a ritagliarsi uno spazio importante. Il continente nero è il protagonista di un canone inverso inimmaginabile fino solo a pochi mesi fa. Ai mondiali di Russia del 2018 era stato toccato il fondo: tutte e cinque le rappresentanti non erano riuscite a superare il primo turno. Quattro anni prima, in Brasile, ce l'avevano fatta Nigeria e Algeria. E a Sudafrica 2010, il torneo che avrebbe dovuto certificare la maturazione del calcio di madre Africa, era andato avanti solo il Ghana (fino ai quarti). Oggi invece, dopo Senegal e Marocco, potrebbe toccare al Ghana raggiungere gli ottavi di finale. Alla squadra di Addo potrebbe persino bastare un pareggio contro l'Uruguay per entrare nel tabellone a eliminazione diretta.

Quattro sono i fattori che hanno generato la rivoluzione. Tanto per cominciare, non era mai accaduto in passato che tutte e cinque le nazionali fossero allenate da tecnici locali. Non saranno forse degli strateghi della panchina, ma conoscono bene l'ambiente e tutta una serie di sfumature psicologiche e sociali che sfuggono all'allenatore europeo. Un caso a parte è rappresentato dal trainer del Marocco, Hoalid Regragui, uno che alla guida del Wydad di Casablanca ha vinto in un solo anno campionato e Champions League africana, e che è stato voluto dai giocatori per sostituire il bosniaco Halilhodzic che aveva spaccato lo spogliatoio, cacciando due dei protagonisti dell'attuale kermesse iridata: Ziyech e Mazraoui. Il Marocco, che ha inchiodato sul pareggio la Croazia, ha umiliato il Belgio e liquidato senza patemi d'animo il Canada, pratica un calcio moderno, con una difesa solida, un centrocampo guidato dal fiorentino Amrabat e un attacco a tre punte, dove proprio Ziyech, da tempo nei sogni del Milan, non ha nulla da invidiare alle più importanti stelle europee e sudamericane. Il secondo fattore è racchiuso nella maturità acquisita dalle federcalcio locali. Non più nelle mani di politici, completamente a digiuno di pallone, ma affidate o a ex calciatori (come Eto'o del Camerun), oppure a ex dirigenti (è il caso del marocchino Lekjaa e del ghanese Okraku) che negli anni hanno maturato esperienze di rilievo nel pallone internazionale.

Ai mondiali in corso l'aspetto fisico sta avendo una notevole rilevanza. La tecnica è nei piedi di pochi eletti, e a far la differenza sono spesso muscoli e centimetri. E anche in questo caso (terzo fattore) gli africani partono avvantaggiati, anche e soprattutto in partite che durano anche dieci o dodici minuti in più, secondo le direttive stabilite dal presidente degli arbitri Fifa Collina. Il quarto asso nella manica degli africani è nella valorizzazione dei settori giovanili.

Le scuole calcio stanno crescendo come funghi in strutture spesso ben gestite. È il caso della Génération Foot, da dove è venuto fuori Ismaila Sarr, l'attaccante che sta sostituendo Sadio Mané senza particolari patemi d'animo.

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