nostro inviato a Monte Carlo
È un viaggio di papà, partito bambino a sette anni da Ficarra, in provincia di Messina, e diretto a Perth, in provincia di un altro mondo, Australia, canguri e speranze per tutti, a trasformare un Daniele in un Daniel e a lasciarci ancora senza un pilota italiano in F1 per cui tifare, perdipiù vincente. Colpa di papà e mamma, delle famiglie Ricciardo e Pulitanò, Sicilia e Calabria unite, se il trionfo del pilota Red Bull a Monaco fa felice e fa rabbia a quel pezzo d'Italia appassionato che non s'accontenta della Ferrari e dei suoi bravi e talentuosi tedeschi e finnici e vorrebbe tanto tanto tanto un Valentino Rossi delle quattro ruote. Chissà se da noi Daniele sarebbe sbocciato, chissà se un Daniele sta bocciando, chissa?
La vittoria di Ricciardo fa piacere a tutti e dà fastidio a tutti, soprattutto a Vettel ed Hamilton a podio dietro di lui. Perché è il pilota più amato del paddock, perché il suo sorriso incanta, perché le sue sfortune inteneriscono, come due anni fa quando solo un assurdo pit stop con le gomme ancora da preparare lo aveva privato, proprio qui, della vittoria. «Quando al 29esimo giro ho capito che avevo un calo di potenza del 25% e avrei dovuto guidare così fino alla bandiera a scacchi, senza mettere la settima marcia, per la prima volta ho pensato che questa gara per me fosse maledetta... Perché avevo fatto tutto per bene, ero stato il più veloce mercoledì, sabato, in qualifica, e al via ero scattato bene e invece...».
Invece, niente. Daniel ha vinto, «mi sono preso la rivincita e, certo, il circuito mi ha aiutato a gestire la corsa nonostante la perdita di potenza e senza mai mettere la settima marcia» ha detto. «E hai vinto alla Schumi, come nel 1994, in Spagna» gli hanno infatti urlato dai box i suoi uomini, ricordando l'impresa di kaiser Michael, in Spagna, quando guidò per gran parte della corsa con il cambio bloccato in quinta. Uomini che all'improvviso hanno ieri scoperto di volergli tanto bene e di volerlo tanto tenere con loro. Perché fino alla vigilia della sua vittoria in Cina, quattro gare fa, era lui, italiano figlio di immigrati, il predestinato a emigrare dal team. Guai, infatti, a mettere in discussione il baby impunito Verstappen. Una vittoria che fa felici molti, anche da noi, perché il suo cognome parla chiaro e perché proprio in questo week end la differenza fra lui e l'olandese è apparsa chiara: Max scattato nel purgatorio dell'ultimo posto e giunto nono dopo aver distrutto, sabato, un'auto perfetta, e Daniel scattato primo e arrivato primo.
Vittoria che dà fastidio a tutti perché scombina e complica i piani a Mercedes e Ferrari in lotta fra loro. La battaglia s'allarga. Due vittorie a testa per i tre team, Ricciardo che in solo colpo scavalca in classifica Raikkonen (ieri 4°) e Bottas quinto e, a 72 punti, inizia la caccia a Vettel secondo a 96 punti e Hamilton leader a 110. In un Gp di Monte Carlo in cui, eccetto il problema tecnico di Ricciardo che ha compattato a lungo il gruppetto di testa, non ci sono stati colpi di scena, incidenti ingombranti e safety car entrate in pista a scombinare i piani del leader, Ferrari e Mercedes hanno più che altro pensato a non uscire dai binari ed evitare i guard rail.
«Avevo il passo ma era una gara insidiosa, avrei voluto tenere la pressione su Daniel fino all'ultimo» dirà uno sconsolato Seb, «ma alla fine, alla ripartenza dopo la virtual safety, non mi sentivo a posto con le gomme e ho perso terreno...». E recuperato tre punti su Lewis. Poca cosa, però.
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