Altro che Messi. L'eroe è lui, Sergio Romero. Tutti pensavano che a portare la selección in finale sarebbe stato la pulga e invece il protagonista dell'Argentina è stato lui, el chiquito. Due rigori parati contro l'Olanda e un paese ai suoi piedi. Anzi, tra le sue manone. Romero ha disputato sinora un mondiale perfetto. Sempre decisivo, mai una sbavatura. «Uno di quei portieri che fanno la differenza e sanno essere decisivi come pochi». Così la potrebbe pensare chi lo ha visto in campo solo in queste settimane. Ma Romero non è solo quello visto finora in Brasile.
Sergio Romero è un ombroso talento di 192 centimetri con una spiccata personalità e un carattere particolare. Dicono di lui i compagni di squadra che quando c'è con la testa è il numero uno al mondo. Una saracinesca, prende qualsiasi cosa. Vero. Ma quando con la testa non c'è, si trasforma in un portierino da campetto di periferia che ne combina una dietro l'altra. Questione di testa appunto, perché il ragazzo è un po' ondivago nel gestire la sua concentrazione. Se gioca partite importanti è praticamente perfetto. Presente dall'inizio alla fine, tonico, attento, un gatto tra i pali, un leader vero. Quando però gioca partite di poco conto, magari contro avversari poco stimolanti, sembra il fratello sfigato di sé stesso. Distratto, disattento, molle. E la papera è dietro l'angolo. Le sue prestazioni in blucerchiato, dove ha giocato due anni tra serie B e A, lasciano pochi dubbi. Contro Juventus, Milan, Inter e socie è sempre stato tra i migliori, spesso decisivo. Contro Pescara, Chievo, Udinese e squadre meno blasonate diventa un pasticcione. Va bene che in nazionale, dove è titolare quasi indiscusso dal 2010 quando sulla panchina dell'albiceleste sedeva un certo Maradona, è abituato a giocare con gente come Messi, Aguero, Di Maria, Mascherano e compagnia. Ma sembra proprio che in certi frangenti te lo faccia pesare. Quasi che se deve fermare il tiro di un carneade o uscire sui piedi dell'ultimo arrivato pensi: «Ciccio, io gioco con Messi, che c'entro con te?». E questo ha indispettito non poco una parte della tifoseria della Sampdoria che lo ha contestato, non apprezzando tra l'altro il fatto che in due anni non abbia mai rilasciato un'intervista e interagisse pochissimo con i tifosi stessi. Lui pensa solo al campo e alla famiglia.
Vederlo in giro la sera è un'impresa impossibile. Come vederlo sorridere.
In blucerchiato le sue papere sono pesate, tanto che è stato ceduto in prestito al Monaco dove nell'ultima stagione ha giocato pochissimo. Ranieri gli preferiva il croato Subasic. Ma lui non ha fatto una piega.
Professionista serio che si allena sempre con scrupolo, ha aspettato il mondiale ed ecco la sua rivincita. E la vetrina che cercava. Perché il suo cartellino è ancora di proprietà della Sampdoria che intende monetizzare al massimo la sua cessione e sgravarsi di un ingaggio da un milione e 700mila euro a stagione. Di sicuro il suo procuratore, tale Mino Raiola, non avrà problemi a trovare a Romero una degna sistemazione. Ma l'ultima parola spetterà ad Eliana, sua moglie. Pare che la bellissima showgirl, legata da 10 anni a Romero, dopo anni passati in Olanda, si fosse innamorata di Camogli e Portofino, risultando decisiva per la scelta della Sampdoria.
Forse solo lei conosce il mistero del bigliettino che Sergio ha letto prima dei rigori con l'Olanda e che ha
nascosto nei calzoncini. Indicazioni sui rigoristi orange? «Qualcosa di personale che mi ha dato forza», ha detto. Quella forza che lo ha portato dalle contestazioni, alla panchina fino a essere l'eroe di un paese intero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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