A Natale si sa, può succedere di tutto. Il 25 dicembre del 1937 non è uno di quei giorni riluttanti che intendono fare eccezione. Londra, cappa spessa che circuisce la città. In First Division, l'antesignana della Premier League, si disputa il Boxing Day. Oggi l'evento campeggia puntualmente in calendario il 26 dicembre, ma all'epoca si giocava anche nel giorno della festività per eccellenza. A Stamford Bridge devono vedersela il Chelsea - squadra che veleggia modestamente al centro della classifica - e il più quotato Charlton Athletic, compagine abituata a comandare il gioco e che, a fine stagione, piazzerà i gomiti al quarto posto. Altri tempi, altre gerarchie. Basti rimuginare su due fatti: il Manchester City retrocederà da penultimo in classifica, mentre il Man Utd salirà dalla seconda divisione.
Comunque il punto è un altro. A Fulham Road, come del resto ovunque, è scesa una coltre di nebbia così spessa che sembra di poterla fendere con le mani. Roba da incespicare ogni due passi. Nelle stanze ampie e fredde della Football Association la questione viene dibattuta per il tempo che merita. Vale a dire cinque minuti netti. Il calcio a Natale arriva prima di ogni altra cosa: anche il meteo avverso dovrà farsene una ragione.
Così si gioca. Gli Addicks entrano in campo con un pensiero insistente: sbranare i Blues per guadagnarsi un posto con vista sui piani alti. I Blues però tengono botta e la gara si incanala su un dimenticabile 1 a 1, quando scocca il cinquantacinquesimo minuto. A questo punto la nebbia è diventata talmente opprimente da sembrare sul punto di collassare sui calciatori. Alcuni faticano a riconoscersi la punta del naso. Sugli spalti i supporters del Chelsea, denominati The Pensioneers per via delle carte d'identità sgualcite in serie e l'abitudine a scrollare le spalle di fronte a qualsivoglia evento, sbadigliano e sfilano via silenziosi. Del resto non si vede assolutamente nulla. Anche i capitani e l'arbitro convengono che non ci sia altra scelta: è una iattura, ma la nebbia stavolta ha prevalso sul pallone.
Le squadre escono dal campo e guadagnano le docce. Solo che c'è qualcuno a cui è sfuggito il quadro d'insieme. Ha ventitré anni, difende i tre pali del Charlton e si chiama Sam Bartram. La marea grigia che si addensa tra lui e la metà campo è talmente impenetrabile che non si è accorto di nulla. Se ne resta semplicemente lì, immobile, ad aspettare che succeda qualcosa. Avvinto dal silenzio circostante. Avviluppato da quel balsamo che anestetizza i sensi. Sam resta in campo per mezz'ora dopo che tutti, tifosi e giocatori, sono andati via. Soltanto un poliziotto, intento in un giro di ricognizione, lo noterà esterrefatto: "Ma che ci fai tu ancora qui?". La giustificazione di Bartram è da manuale della comicità: "Pensavo che stessimo attaccando da un po', lo facciamo spesso'".
Quando rientra negli spogliatoi i suoi compagni sono già in giacca e cravatta. La squadra erompe in una sguaiata risata collettiva. Da quel giorno Sam diventerà, per tutti, il portiere dimenticato nella nebbia. Uno spassoso scivolone che non gli impedirà di sviluppare una carriera radiosa: oggi fuori dal The Valley - lo stadio del Charlton - lo ricordano con una statua che mantiene imperiture le sue gesta sportive.
La scultura rende giustizia ad un fisico d'acciaio, ma il dettaglio che prende in contropiede è il sorriso largo di Bartram. Sicuramente è determinato dal dolce pensiero della FA Cup sollevata nel 1947. Magari è per via di quelle 579 partite giocate in maglia Addicks. O, forse, è il ricordo di un giorno annebbiato in tutti i sensi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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