Scozia, il ritorno: adesso serve più del coraggio

A un grande torneo dopo una generazione di assenza: la strada sembra quella giusta

Scozia, il ritorno: adesso serve più del coraggio

C'era una volta la Scozia calcistica tutta cuore, tutta coraggio. Ovvero, Scotland the Brave, titolo anche dell'inno, rigorosamente accompagnato da cornamuse ed eseguito ai Mondiali del 1982, 1986 e 1990, prima di essere soppiantato dal grintosissimo e solenne Flower of Scotland. Perché se c'è una cosa che nel calcio non si poteva non dire, degli scozzesi, era che fossero coraggiosi. Tosti, determinati. C'era un problema, però: tutto quel cuore non portava a nulla. Anzi, portava avanti quanto bastava per far sperare, senza però che in mano rimanesse nulla.

Coltivava speranze poi ci spruzzava sopra il diserbante un attimo prima di coglierle: 1974, 1978, 1982 eliminata al primo turno dei Mondiali per differenza reti, e nei primi due casi per aver battuto solo 2-0 uno Zaire distrutto 9-0 dalla Jugoslavia e aver pareggiato contro l'Iran, di cui lo staff tecnico non si era nemmeno preoccupato di procurarsi una videocassetta. Due partite mediocri e una terza brillante (ad esempio il 3-2 all'Olanda nel 1978 che quasi dava la qualificazione, nonostante tutto) ed ecco che si salvava la faccia ed arrivava quel brave, con la sua alternativa gallant, che voleva più o meno dire la stessa cosa: scarsi ma coraggiosi, coraggiosi ma scarsi.

Ecco perché l'edizione 2021 della Scozia, tornata alla fase finale di una manifestazione per la prima volta dal 1998 (Mondiale francese, né gallant né brave ma solo disastroso, compreso uno 0-3 contro il Marocco), è un enigma e al tempo stesso è una gioia e una speranza. La qualificazione dalla porta di servizio, cioè la vittoria ai rigori sulla Serbia a Belgrado nella finale dei playoff di terza fascia, ha lasciato l'impressione che sia finalmente arrivata la direzione tecnica giusta, sotto la guida di Steve Clarke, 57 anni, ex terzino destro del Chelsea poi assistente di Ruud Gullit al Newcastle, di José Mourinho al Chelsea, del suo ex compagno di squadra Gianfranco Zola al West Ham prima di un paio di avventure in solitaria.

La sua brillante riabilitazione del Kilmarnock nella massima serie scozzese gli ha consegnato le chiavi della Nazionale, che poco alla volta ha stabilizzato, con quella sua aria concreta di chi si sente in tuta anche quando è in giacca e cravatta.

I suoi giocatori, oggi pomeriggio contro la Repubblica Ceca, indosseranno il fiato, le aspettative e le speranze di chi da un'intera generazione non vede la Scozia in una fase finale e ora addirittura potrà vederla in casa, ad Hampden Park, due volte in otto giorni.

In mezzo, venerdì, la grande sfida contro il cosiddetto Auld Enemy, il Vecchio Nemico, l'Inghilterra: in tempi normali da nord sarebbero scesi almeno in 30.000, stavolta saranno meno per via della capienza ridotta ma si sentiranno a casa lontano da casa. E comunque vada saranno coraggiosi, saranno brave o gallant, perché a quanto pare solo così gli scozzesi possono essere.

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