Era prevedibile quanto grottesco ed è successo. Caster Semenya, l'atleta sudafricana affetta da iperandrogismo che ha vinto tutto quello che si poteva vincere correndo con muscoli grandi così tra le fanciulle del mezzofondo mondiale, adesso vuole «proteggere gli atleti». E le atlete. Ma non da altri casi Semenya. Ha infatti annunciato che nel 2027 si candiderà alla presidenza della World Athletics, cercando di succedere all'attuale numero uno Sebastian Coe in carica dal 2015 e non più ricandidabile. Coe che di fatto ha chiuso nel 2018 la carriera della Semenya. «Voglio sfidare le persone che non hanno a cuore i diritti degli atleti» ha infatti dichiarato la sudafricana alla rete tedesca Ard. «Capisco l'importanza dello sport. Non dovrebbe riguardare me. Voglio proteggere gli atleti e assicurarmi che tutti siano trattati allo stesso modo». Il punto è proprio questo: che atlete come la sudafricana - non è stato l'unico caso il suo -, ad un certo punto della carriera non sono più state trattate allo stesso modo dalla World Athletics perché gli è stato imposto, giustamente, di sottoporsi a trattamenti ormonali che abbassassero i livelli di testosterone. Unico modo, quello adottato dall'atletica mondiale, di intervenire per ristabilire il valore dell'equità nella competizione sportiva. In caso di un successo della Semenya sulla spinta del politically correct applicato allo sport, fra tre anni potremmo assistere a un vero cortocircuito. Nella primavera del 2025 scadrà (senza possibilità di essere rieletto, salvo sorprese) il mandato del presidente del Cio Thomas Bach, da sempre fautore della massima inclusività sportiva anche a scapito degli atleti, come abbiamo di recente visto con il caso Imane Khelif.
E Coe, sabbia negli occhi per Bach, è certamente uno dei papabili alla sua successione. Se mai accadesse una cosa simile, Semenya all'atletica e Coe al Cio, si passerebbe dal gelo attuale a un clima di guerra sportiva di cui non si sente proprio il bisogno.
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