Non poteva essere che così, sulla copertina di Vogue, per rendere qualcosa di straordinario un evento anagraficamente normale. «Non chiedetemi altro, sono terribile con gli addii» ha detto Serena Williams nell'intervista a Rob Haskell detonata ieri in tutte le redazioni del mondo. E in fondo, a 41 anni compiuti, non dovrebbe essere così, ma Serena è stata il tennis e lo è ancora, forse a maggior ragione adesso che il circuito femminile è diventato un landa desolata di talento ed emozioni. Quelle che lei ha saputo dare pur perdendo al primo turno a Wimbledon, di ritorno da un anno di inattività: «Non ero pronta, ma è stato bello». E insomma Serena Williams se ne va (e lo dice proprio mentre a Montreal è tornata a vincere una partita dopo 452 giorni), verso la vita che merita, perché la figlia Olimpia le ha già fatto sapere che vuole essere una sorella maggiore brava com'è stata per lei Venus, e dunque non c'è tempo da perdere. Lascerà probabilmente dopo gli Us Open («Non so se sarò pronta neppure per quelli»), perché nessuno può essere sportivamente immortale e perché è arrivato il momento di renderle l'onore che merita. Lei, la piccola (si fa per dire) delle sorelle Williams che per anni hanno dominato il tennis femminile lottando contro tutti i pregiudizi di chi da fuori giudicava senza conoscere. Il papà Richard visto come il solito padrone, il fatto di arrivare dal ghetto nero di Compton - Los Angeles - come come bagaglio culturale obbligato, la rivalità per molti finta con Venus per cui ogni finale diventava materia di chiacchiericcio su chi avesse deciso la vincitrice. Niente di tutto questo, invece. E bastava sentirle parlare in una semplice conferenza stampa per capire ciò che c'era di diverso in loro, ma soprattutto quel che c'è di diverso in Serena. Che pur sbagliando qualche uscita sul campo - celebri quella in cui voleva far ingoiare una pallina alla giudice di linea, così come la scenata a New York nella semifinale con la Vinci (2015)-, fuori è sempre stata perfetta.
Nei toni, nel comportamento, nell'intelligenza. Per esempio: ha sempre saputo quando e come dire qualcosa di utile per dare un titolo ai giornali. Ma soprattutto ha sempre saputo essere divertente, utilizzando anche il suo fisico via via sempre più mastodontico come un dono sul quale costruire comunque un fascino irresistibile. A dispetto di ogni prototipo femminile e femminista. Ed essendo femminile e femminista. Ecco perché allora è giusto che sia Vogue allora a raccogliere la sua confidenza, e non solo perché il futuro la porterà nel mondo della moda. È giusto perché Serena - basta la parola senza aggiungere il cognome - è quella che si chiama giustamente icona. N on è stata la più grande e non vincerà più Slam di Margaret Smith Court (24 contro i suoi 23). Ma di sicuro ci lascerà tennisticamente orfani: «Odio tutto questo, non voglio che finisca.
Ma nello stesso tempo sono pronta per il dopo. Amo vincere, amo la battaglia, amo intrattenere. Non ho mai voluto dover scegliere tra il tennis e la famiglia, però è arrivato il momento di dare qualcosa indietro». Perché a noi, d'altronde, ha dato tutto.
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