Silenzio, parla il Cies. Ovvero il Centro Internazionale di Studi Sportivi, organizzazione di ricerca e formazione con sede a Neuchâtel, in Svizzera. Ebbene, l'ultimo report ha rilevato che nel nostro campionato solo il 38,7% dei giocatori di serie A è nato e cresciuto in Italia: tra questi, ovviamente, non sono tanti quelli che possono vantare un posto da titolare o un minutaggio apprezzabile. Tradotto: il bacino di atleti cui può attingere il commissario tecnico chiunque egli sia è a dir poco ridotto. E lo stesso bacino si riduce ancor più se si considerano i giocatori italiani con esperienza europea: tanto per dire, due azzurri come Bellanova e Buongiorno tra i migliori nei rispettivi ruoli in campionato con la maglia del Torino non hanno sostanzialmente mai giocato al di fuori dei confini e all'Europeo non hanno visto il campo.
Le società italiane insomma peccano di esterofilia e faticano a lanciare i giovani, così da permettere al presidente federale Gravina di sostenere che «i ragazzi delle varie Under hanno zero presenze tra i grandi. Abbiamo rilanciato le seconde squadre, ma ci sono delle Primavera che schierano il 100% di stranieri. I talenti non mancano, ma la ricerca del risultato non ammette pazienza: l'Under 17 vincitrice 3-0 sul Portogallo fa intuire la straordinarietà dei nostri ragazzi, i quali però a volte non scendono in campo nemmeno nel campionato a loro riservato». E, senza giocare (o quasi), pian piano ci si perde. Dati alla mano, l'unica percentuale simile alla nostra è quella della Premier League (61%) e forse non è un caso che anche Oltre Manica la nazionale fatichi a ottenere i risultati. Le altre leghe di livello top propongono invece percentuali di stranieri decisamente più basse: la Bundesliga è al 47,7%, la Ligue1 francese è al 43,8% e la Liga spagnola arriva appena al 37,5% proponendo talenti purissimi come il non ancora 17enne Lamine Yamal.
La serie A è quinta anche a livello globale: solo la Lega cipriota (70,8%), la
Super League greca (64,3%), la Süper Lïg turca (63,5%) e la Premiership scozzese (63,2%, dove però tutti gli altri calciatori britannici sono considerati formalmente stranieri) hanno una percentuale più alta della nostra.
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