Ci sono battaglie che non si devono perdere, che poi nel tennis sono partite che si devono vincere, quand'è il momento. Per Jannik Sinner quel momento, nelle 4 ore 40 minuti della sconfitta contro Zverev, è stato l'inizio del quinto set. Con il tedesco con la lingua fuori, e Jannik che aveva ammortizzato i problemi di crampi arrivati troppo presto, rimettendo il match dalla sua parte. E invece ecco subito il break, le gambe di nuovo di legno e una lotta disperata (questo gli va dato atto) che però non è bastata. Per carità: a 22 anni il futuro può solo essere migliore, e il lavoro pagherà. Ma Sinner è in giro ormai da un po', il paragone con Alcaraz (che ha due anni in meno) comincia a farsi pesante, e il confine tra la grande promessa e l'eterno incompiuto diventa progressivamente sempre più sottile. Sembra ovviamente ingiusto dirlo a uno che è numero 6 del mondo, ma Jannik è sicuramente intelligente per sapere che certi particolari che preoccupano noi, preoccupano anche lui. I crampi, per esempio: vero che la notte di New York era asfissiante, ma non è la prima volta che capita. E la domanda se si tratti solo di problemi fisici od anche nervosi viene spontanea. «Così fa male», ha detto alla fine, e siamo d'accordo con lui.
E così l'Italia esce dagli UsOpen applaudendo solo Arnaldi, l'unico che non dovrebbe esserci settimana prossima a Bologna per giocarsi l'ingresso alle finali di Davis. Senza Berrettini e con un Musetti un po' spento, la pallina ripassa a Sinner: toccherà a lui far sapere dove sia davvero quel confine.
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