Siamo alle solite, vedono il tricolore e ai francesi incominciano a girare gli zebedei. Non ce la fanno proprio, è nel loro Dna: gli italiani piacciono poco e il nostro Fabio Aru ancora meno. È un dato di fatto, alla gran parte della stampa internazionale il campione d'Italia non piace. Il bello è che non si sa il perché.
«I grandi occhi neri non dicono nulla. Lui, poco di più». Così Clément Guillou inizia l'articolo apparso ieri mattina sull'autorevole Le Monde. Aggettivo questo che viene attribuito di default per qualsiasi cosa scrivano oltralpe. Basta che venga vergato fuori dai nostri confini e il pezzo viene immediatamente bollato con il titolo di autorevole. Poco importa se siano articoli privi di prove, al limite della diffamazione. Oltre ad essere autorevole, possiamo anche dire che Le Monde è prevedibile: ogni anno, puntuale come una cartella esattoriale, arriva con la sua bella pagina che fa a pezzi generalmente la maglia gialla e il Tour. Questa volta tocca però alla maglia tricolore, quella di Fabio Aru. Scrive Clément Guillou: «Se Fabio Aru non dice molto e non è per mancanza di intelligenza - il suo percorso parla per lui: il vincitore della Vuelta 2015 sintetizza in sé gli anni neri del ciclismo italiano. Forse suo malgrado, all'inizio. Ma col tempo le coincidenze sfortunate sono aumentate di numero».
E dopo aver ricordato che il sardo come Nibali viene da un'isola, la Sardegna, ricorda che per diventare corridore anche lui al pari del siciliano ha dovuto migrare in continente a 18 anni «chiamato in Lombardia dall'uomo più discusso del ciclismo dilettantistico italiano: Olivano Locatelli». Scrive anche che da Locatelli sono passati tanti corridori poi coinvolti in vicende di doping e che l'allenatore è anche finito in carcere (cosa per altro non vera, visto che è stato costretto ai domiciliari) e poi è stato scagionato dall'accusa di traffico di sostanze illecite. E dopo Locatelli, Martinelli, l'attuale tattico dell'Astana. «Da una chioccia all'altra scrive sempre Guillou -. Fabio Aru arriva a casa di Giuseppe Martinelli, direttore sportivo dell'Astana, che lo segue già da parecchi anni. Altro uomo-chiave del ciclismo italiano degli ultimi decenni, stavolta tra i professionisti. Trent'anni di mestiere alle spalle, cinque vincitori di Giro d'Italia (sono 6, ndr) e due di Tour de France seguiti. Il capolavoro della sua vita: Marco Pantani, idolo di Aru. Gilberto Simoni e Stefano Garzelli». Peccato che Garzelli, quando nel 2002 viene trovato positivo, non corra per Martinelli. E poi viene preso di mira anche Paolo Tiralongo: «Un compagno di squadra modello. Un corridore modello?». Probabile che non sia un modello, ma una cosa è certa: non è mai stato trovato positivo, la sua fedina penale sportiva è pulitissima.
Infine arriva al suo manager onnipotente, il kazako Alexandre Vinokourov, che «esalta un ciclismo sbagliato scrive -, del quale era un fiero rappresentante fin quando è risultato positivo alle trasfusioni ematiche nel 2007. Che cosa ha imparato Fabio Aru lavorando con queste figure controverse del ciclismo italiano? Dalla risposta a questa domanda dipende la credibilità del Tour de France 2017», chiosa Guillou.
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