La parte peggiore di un grave infortunio non è il dolore, ma la paura. Perché ogni calciatore che sente il suo corpo andare in pezzi è condannato a ripetersi per mesi sempre la stessa domanda: «Tornerò mai come prima?». È stato così anche per Leonardo Spinazzola, esterno tutto dribbling e sovrapposizioni che ha passato l'ultimo anno e mezzo a ritrovare se stesso.
Quell'interrogativo aveva iniziato a rimbalzargli nella testa la sera del 2 luglio del 2021, quando l'Europeo itinerante aveva fatto scalo a Monaco di Baviera. Italia contro Belgio, in una partita con vista sulla semifinale. Spinazzola aveva prima neutralizzato con la coscia una conclusione di Lukaku, poi qualche minuto più tardi si era messo a sgasare sulla fascia. Era un numero che aveva ripetuto decine di volte. Ancora e ancora e ancora, fino a renderlo una sua peculiarità, fino a guadagnarsi il premio come migliore in campo in due delle prime quattro partite degli azzurri all'Europeo. Solo che stavolta qualcosa era cambiato all'improvviso. Mentre correva spingendo forte sui quadricipiti, le sue gambe si erano afflosciate fino a zavorrarlo. Spinazzola era rimasto lì, fermo in piedi, con il volto stirato dalla rabbia e dalla paura.
Qualcosa dentro di lui si era rotto, anche se non aveva capito bene cosa. Il dolore era arrivato qualche secondo dopo. Il romanista si era accasciato a terra. Le mani sugli occhi, il petto che si dilatava e sgonfiava a ritmo accelerato, la carezza di Cristante sulla testa. Poco dopo lo avevano caricato sulla barella e lo avevano portato via. Con gli occhi zuppi di lacrime e le orecchie perforate dai fischi dei tifosi belgi. Spinazzola non si era solo infortunato gravemente, ma era andato in pezzi nel momento più alto della sua carriera. Quello che era venuto dopo era stato un lungo viaggio nel dolore. L'arma più affilata della Nazionale di Mancini era rimasta un anno a guardar giocare gli altri. Mourinho gli aveva regalato qualche spezzone nelle ultime tre partite del campionato, poi lo aveva mandato in campo nella ripresa durante la finale di Conference League. Ventotto minuti, giusto il tempo per poter dire di aver preso parte all'impresa.
L'inizio di questa stagione è anonimo. Quella che sembrava una nuova alba ha rischiato di diventare un tramonto. Altri problemi fisici, altre partite da saltare. Leonardo è riapparso all'improvviso a Verona, quando sembrava destinato ormai a essere ceduto. In una Roma dal gioco straziante ha riaffermato l'importanza del dribbling, della ricerca della superiorità numerica.
L'assist di tacco per Solbakken contro l'Hellas, il doppio passaggio vincente per Belotti e Dybala col Salisburgo, il gol alla Cremonese hanno collegato il presente al passato, dimostrando che Spinazzola può essere ancora determinante. E ora proverà a dimostrarlo anche con la maglia dell'Italia, un anno e mezzo dopo la notte di Monaco.
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