La storia di Cherif Karamoko ha dell'incredibile ma fortunatamente una tragedia si è trasformata in qualcosa di positivo per il 19enne originario della Guinea. Il ragazzo due anni fa è dovuto fuggire dalla guerra, è affondato con il barcone che l'avrebbe dovuto portare in Italia e qualche settimana fa ha fatto il suo esordio in Serie B con il Padova contro il Livorno. Il classe 2000 ai microfoni della Gazzetta dello Sport ha voluto raccontare la sua Odissea: “Sono cresciuto a Nzerekore, al sud della Guinea, una città dilaniata dai conflitti tra gruppi etnici, conflitti sempre più aspri ogni volta che nel Paese ci sono le elezioni. Mio padre era l’Imam del quartiere, e una sera del 2013 quelli dell’altra etnia attaccarono la nostra casa. Facevano sempre così: lanciavano bombe incendiarie contro le case, gli abitanti scappavano dal fuoco e loro li stendevano con coltelli e pistole. Mio padre e mio fratello chiamarono la polizia, intanto provarono a difendere la famiglia con le armi che avevano. Nacque una sparatoria, vidi cadere a terra mio padre e due dei loro. Papà morirà tre giorni dopo in ospedale, mio fratello scappa per paura degli interrogatori”.
Cherif ha poi raccontato del viaggio che l'ha portato in Libia: "Mio fratello un giorno disse che nemmeno in Libia si stava più bene, cominciavano i conflitti e il lavoro scarseggiava, voleva andare via. E fece a mia sorella: 'Porto Charif con me'. Però non aveva mai detto di volersi imbarcare. Io intanto però dovevo raggiungerlo in Libia. Lui si mise d’accordo con un suo amico, che mi ci ha portato. Una strada lunghissima, faticosa, ci nascondevamo da città a città. Poi sono arrivato in Libia e mi hanno venduto”. Il ragazzo ha poi raccontato il naufragio: "Entrava acqua, lenta ma entrava, e tutti volevano allontanarsi dal buco. Scattò subito una rissa, anche per la scatola con i giubbotti salvagente. Prima di partire ce l’avevano data chiusa dicendo che ce n’era uno per tutti, invece erano solo 5. Quella lotta fece definitivamente andare a picco il barcone. Io mi aggrappai a una boa, ma lo fecero anche tanti altri e quella cominciò ad andare giù. Alcuni svuotavano in mare la benzina per usare i barili come appiglio, solo che la benzina ti brucia la pelle. E io la inghiottivo, così mio fratello che però mi diede un salvagente. Io piangevo, ero confuso, non pensavo né alla vita né alla morte. E lui ripeteva: 'Devi essere forte, devi vivere, devi fare il calciatore'. Dalle 9 di mattina fino al pomeriggio inoltrato restammo lì. Poi arrivò la nave di salvataggio”.
Una volta arrivato in Italia, al porto di Reggio Calabria, però, Karamoko junior fa una scoperta bruttissima, il fratello non ce l'ha fatta ad essere salvato: "Arrivammo al porto di Reggio Calabria e mi portarono in ospedale. Lì realizzo cos’era successo. Chiesi dov’ero, dov’era mio fratello. E loro: 'Ne abbiamo salvati 23, se è vivo è qui'. Mi guardai attorno, e non c’era. Poi me lo confermarono: 'È morto'. Ho pianto, tantissimo, due mesi di fila. Poi mi sono ricordato di mio padre e delle letture del Corano.
Ce n’era una che diceva: se piangi vuol dire che non credi, Dio sa tutto di te. Non avevo madre, padre e fratello, ma avevo lui. Mi aveva fatto arrivare qui, per fare il calciatore. Capii che dovevo essere coraggioso, e sorridere”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.