Hanno deciso arbitri e moviola, prima ancora di fioretto e pedana. Sarà una condanna dello sport italiano. Ancora una vola la maledizione dell'ultimo colpo. Stavolta si parla di fioretto. E Filippo Macchi, che conosce e ama il pallone, avrà stramaledetto l'invenzione mentre il ct Cerioni era una furia con i giudici: «Vergognoso, questa è incompetenza. Hanno rubato tre volte». E la federazione ha inoltrato protesta formale al Cio. Onore al merito ad un altro Pippo nazionale che ha condotto il mondo della scherma alla prima finale per l'oro di questa olimpiade parigina. Nel Grand Palais risuonavano urla di tifo accorato. Ma non sono bastate per stendere Cheung Ka Long, l'uomo di Honk Kong che ha classe e pedigree avendo vinto l'oro del fioretto anche a Tokyo.
Argento per Filippo, un grande argento, fors'anche inatteso da un ragazzo di 22 anni che ha il futuro dalla sua parte. Bella finale. Ricca di tutte le qualità che fanno spettacolo: nervi, emozione, freddezza, astuzia, audacia. Filippo è partito lento, ha rimontato, ha nuovamente perso terreno, ma il finale è stato il suo Vincerò. Davanti 14-12 si è incantato com'è capitato, finora, a sette ragazzi italiani, 7 ko all'ultima stoccata: una maledizione o forse qualcosa da rivedere nelle teste. Cheung ha sfruttato esperienza e classe. Macchi ci ha messo il carattere toscano. È un mancino ma non gli è riuscito il colpo mancino. Ma la storia della scherma gli ha aperto il suo libro.
La geografia degli avversari, che l'ha condotto a questa finale, ha toccato ogni angolo del mappamondo: ha battuto un cinese, un giapponese, un egiziano, un americano e infine si è trovato davanti il campione di Hong Kong, ultimo oro olimpico a Tokyo. A dimostrazione che la scherma non ha davvero più confini. Lo dicono anche i quattro fiorettisti delle semifinali: il giapponese Imura, l'americano Itkin che si è scontrato con il nostro azzurro (perdendo secco 15-11) e il campione di Hong Kong. Solo l'Italia a rappresentare la vecchia scuola europea. Un mondo immenso per un ragazzo partito, anzi nato a Pontedera: angolo di Toscana che ricorda Sandro Mazzinghi, un campione dei campioni della boxe. Aria buona da quelle parti, aria per la stoffa dei predestinati. Ma Filippo ha trovato il filone nei geni di famiglia, tutti insieme appassionatamente tuffati nella scherma: il nonno Carlo, famoso maestro che fondò il circolo Navacchio di Cascina, vicino a Pisa, dove ha instradato il nipote. «Adesso, ci fosse, non so cosa potrebbe fare», si è chiesto Filippo. Si parla di gioia, esaltazione, compiacimento. Lo stesso che traverserà mamma Michela ex giudice arbitro, papà Simone ex fiorettista di livello. E il figlio, non contento, ha pescato la fidanzata anche nella nobiltà del suo sport: si chiama Giulia Amore, un cognome per il credo dei sogni giovanili, ed è figlia di un campione europeo a squadre e di Diana Bianchedi, la nostra dottoressa della scherma (nel senso di laurea in medicina), campionessa plurititolata del fioretto del Dream team e oggi al lavoro per organizzare le Olimpiadi di Milano-Cortina.
Filippo non poteva tradire fra tanta nobiltà. Ha litigato un po' con lo studio, ha abbandonato dopo un anno le scienze giuridiche. Ma ha intenzione di riprovarci. «Ci tengo ad un titolo accademico». Per ora basta una medaglia.
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