Tardelli 70, il cameriere che apparecchiò Spagna '82

Bello e talentuoso. Agli inizi serviva fra i tavoli, poi il Como. La Juve per averlo beffò l'Inter. Uomo chiave del Mundial

Tardelli 70, il cameriere che apparecchiò Spagna '82
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Ventidue giugno del Settantacinque, stadio Sinigaglia, Como batte Verona 2 a 0. È la svolta. Scrive Vincenzo Gini sul Corriere della Provincia: «...l'uomo più atteso e temuto dell'intero attacco scaligero è Zigoni. Funambolico, imprevedibile, estroso... A Verona è considerato pari di un Riva per il Cagliari, o di un Savoldi per il Bologna. Viene preso in consegna da Tardelli, che ha il compito di marcarlo a vista. E Marco compirà talmente bene il proprio compito che la funambolica ala sinistra gialloblu raccoglierà una magra dietro l'altra, finendo, nell'arco dei 90' di gioco, per toccare pochi palloni, e nessuno in grado di poter recare offesa alcuna alla porta difesa da Rigamonti...». Il tabellino della partita segnala presenze illustri e decisive: «Presenti in tribuna d'onore il sindaco avvocato Spallino, Garonzi presidente del Verona, Fraizzoli e gli allenatori Chiappella e Vycpalek». Il boemo Cesto Vycpalek riferì a Boniperti la visione di uno spavaldo difensore, il presidente dell'Inter, consultato l'allenatore Fernandel Chiappella, presentò l'offerta, dicesi milioni di lire 700.

Marco Tardelli era un bel tipo, capello lungo e liscio, fisico asciutto, gambe da mezzofondista più che da calciatore, muscoli puntuti, per questo lo avevano respinto il Milan, la Fiorentina e il Bologna, troppo magro per giocare a football. Bravi. La Juventus, sapendo della proposta interista, aumentò la posta, come accade nelle aste di lusso, 950 milioni. Quando il giovane credeva di trasferirsi all'Inter, venne a sapere che quella cifra del club di Agnelli aveva riempito di orgoglio e di conto corrente Alfredo Tragni, presidente del Como, un ex calciatore poi divenuto imprenditore internazionale di legnami, articolo prezioso e indispensabile per i mobilieri brianzoli. Tardelli era una invenzione di Mino Favini e Gianca Beltrami che per settantamila lire lo avevano individuato e prelevato dal Pisa dove era arrivato nell'estate del Settantadue. Il ragazzo alternava il pallone con il lavoro di cameriere all'Hotel Duomo di Piazza dei Miracoli, andare avanti e indré in sala lo rese ancora più agile e svelto, connotato poi decisivo nella sua carriera. A Como, in B, le giocò tutte in quell'anno fatidico e quando si trasferì a Torino capì che il tempo delle mele era finito, dividere lo stanzone dello spogliatoio con Zoff e Altafini, Capello e Causio, Anastasi e Furino non consentiva distrazioni e poi con Giampiero Boniperti c'era poco da fare, il presidente aveva però intuito di avere preso il futuro della Juventus, nel ruolo che lui stesso aveva occupato: «Tardelli è tornato in forma, ci siamo», confidò un pomeriggio in una delle rarissime parole concesse.

Dunque dal pallone sul lago al calcio di città Fiat, roba seria, da professionisti feroci, tignosi. La cronaca segnala un'entrata felina sulle gambe d'oro di Gianni Rivera, così, per presentare le credenziali, 5 novembre, del Settantotto, l'arbitro D'Elia fischia l'inizio della partita, tre secondi e il bambìn, come lo chiamava Rocco, giace, sorpreso e colpito, dal tackle, imprevisto e improvviso, del ganzo toscano che venne immediatamente ammonito e passato alla cronaca come il killer del monumento milanista. Era finita la gavetta, era il tempo della maturazione e poi della maturità, scudetti, coppe, nazionale, mondiale, tutto in fretta, come le sue corse da levriero, avanti e indrè come nel ristorante pisano. Anni bellissimi, la celebrazione dell'Ottantadue, maglia numero 14, cimelio che lui stesso mi regalò senza nemmeno pensare e sapere che sarebbe stato, quel gol, la didascalia di tutta la carriera che andò a concludersi, stranamente, nel cantone di San Gallo. Bello era bello, acchiappante, furbo, provocante e provocatore, screzi con Platini, francese protetto dall'Avvocato ma poi diventato amico vero, vita zigzagante da allenatore, di club e di nazionale, brevissima tra le piramidi d'Egitto, quindi accanto a Trapattoni con la Foireann peile naisiunta Phoblacht na hEireann nella lingua gaelica la nazionale della Repubblica d'Irlanda, esperienza singolare e lunga, sotto la pioggia e nei pub di Dublino.

Il resto è la vita dopo il football, la barba ad assumere sembianze e postura da grande vecchio ma in fondo il bamboro di sempre, non più l'odore dell'erba dei campi di calcio, ma il profumo del lentisco di Pantelleria e i vapori della Capitale; oggi il diario prevede festa, le pagine di questi anni sono piene di cose, di scoperte, di gioie, di delusioni, di fughe e di ritorni e, infine, di un amore forte, l'ultimo dice lui. Dopo mille partite a marcare gli avversari, ecco la sorpresa: «Prima o poi doveva capitare, Myrta mi marca stretto». A maga Merlino è riuscito l'incantesimo.

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