Tete, guerriero della rana e la leggerezza del bronzo. "Sul podio pesavo 10 chili"

Martinenghi: "Sono un combattente. Ho rinunciato allo stipendio sicuro per scommettere su me stesso"

Tete, guerriero della rana e la leggerezza del bronzo. "Sul podio pesavo 10 chili"

Tete era predestinato a grandi imprese. Lo ha capito subito da ragazzo, quando ha deciso di fare il nuotatore. «Perché ho scelto la rana? La domanda che mi faccio in realtà è: Perché la rana ha scelto me?». Con questa premessa, era evidente che il fato avesse riservato un grande avvenire per Nicolò Martinenghi, il 21enne varesino che nella notte di ieri ha conquistato un meraviglioso bronzo nella finale dei 100 rana dietro l'inglese Adam Peaty e l'olandese Arno Kamminga. Dopo ventun'anni, dai tempi di Domenico Fioravanti, un italiano è tornato sul podio nella specialità più tecnica. Figlio di una piccola realtà come Brebbia, minuscolo paesino del varesotto, Tete, come lo chiamano gli amici, è stato investito da una valanga di emozioni dopo il podio. «Ho un vuoto da quando ho toccato il muro e sono arrivato nel villaggio. Vivo su un'onda e piano piano sto metabolizzando». E se lo dice uno che ha vinto tutto a livello giovanile, allora deve essere proprio vero. Semplicemente perché le Olimpiadi non sono paragonabili a nessun altro evento al mondo. «Ho fatto tre quarti della premiazione ad occhi chiusi. Sul podio ci si sente in uno stato d'animo diverso, mi sentivo dieci chili quando in realtà peso cento. In quel momento i sacrifici hanno un valore diverso».

Ed infatti non è stato tutto rose e fiori in questi anni per Nicolò il predestinato. Nel 2018, a metà del quadriennio per Tokyo poi diventato quinquennio, un infortunio gli ha complicato e non poco la strada. Per quasi un anno è stato fermo. Si è aggrappato alla famiglia, agli amici e... alla maturità. «È stato l'anno più bello per un ragazzo. È stato un momento in cui il nuoto, per una volta, è finito in secondo piano. Mi sono goduto la vita da ragazzo, cosa che per un nuotatore di alto livello fai di rado», ha confessato l'atleta della Aniene. L'infortunio lo ha fatto crescere, maturare, esplodere. Ha capito di avere delle potenzialità fuori dal comune. Il clic è scattato grazie al lavoro fisico e mentale del suo allenatore Marco Pedoja e di un mental coach. Come ha poi rivelato la leggenda del nuoto Michael Phelps, anche i più grandi hanno bisogno del supporto degli altri. Il primo grande exploit è stato il record italiano di Riccione: 5875 a fine 2019. Mai un ranista azzurro era sceso sotto la barriera dei 59. E sull'onda dell'entusiasmo ha riportato l'Italia sul podio olimpico in questa specialità. Ma è solo l'inizio: a Parigi 2024 si può sognare in grande, Adam Peaty permettendo. E d'altronde Nicolò tempo fa aveva fatto un investimento su stesso, lasciando la divisa di poliziotto. «Nuoto per passione non per soldi», la sintesi del suo discorso. Un atleta sempre pronto alla battaglia: «Prima di tuffarmi in acqua, calo la maschera come Leonida e divento un animale da combattimento». Ma che a un certo punto della gara non guarda in faccia a nessuno: «Non puoi più vedere chi c'è nella corsia di fianco e devi rendere conto solo a te stesso. Alla fine, il peggiore nemico siamo noi stessi». È ancora giovane Nicolò, ma maturo nelle parole e nei fatti. Ha imparato l'arte del mestiere da Fabio Scozzoli ma vede in Paltrinieri una fonte di ispirazione: «Senza Fabio ora tocca a me, è una bella responsabilità.

Noi giovani da Greg possiamo solo imparare. È l'umiltà fatta in persona, ha un rapporto solare con chiunque, non nega mai la chiacchierata, neanche a chi non conosce». Da ieri però anche i sassi conoscono Nicolò Martinenghi.

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