Ci sono momenti che risplendono d'antico. Il meraviglioso San Siro pieno di gente, pigiata, affamata, assatanata, un rossonero che fa colore e sapore. Eppoi laggiù, nel prato, veder filar vie sagome che riportano a campioni di un'altra età. Quando Theo Hernandez ha preso il pallone e deciso di andare coast to coast lungo la linea dei suoi pensieri, sulla rotta della sua speranza, piano piano ha trasformato la sagoma sua in quella forse più massiccia, nobilmente calcistica di George Weah. Ma quello è Weah! Dice la memoria di chi ha vissuto epoche di altra dimensione. E quando Theo ha fatto partire il suo sinistro d'autore ha completato l'opera. Si è Weah! No, è Theo: fantastico galoppatore di erbe verdi, sconquassatore di difese e uomini. 95,3 metri di stravolata, centometrista che passava uomini come birilli, sempre la luce della porta davanti agli occhi, eppoi bucar Musso fra le gambe con la veemenza lasciando partire quella palla aggrappata al sinistro. E un pensiero fisso: «Vado fino in fondo. E così è stato. Serata meravigliosa: per la prima volta c'era mio figlio allo stadio». Forse c'è tutto nella carta di identità, anche la qualità calcistica: Theo Bernard Francois Hernandez, marsigliese di origine spagnole. C'è la dimensione del gol: cuore spagnolo, tecnica francese, sfrontatezza marsigliese. Rete a viso aperto: io vado, prendetemi. Non era un Toro in carica, era la rivisitazione di un Weah novelle vague.
Qualcuno potrebbe ripensare al bisonte Nordahl che tutto spazzava. Theo tutto evita per arrivare alla meta: rugbista da palla alla mano, calciatore da palla al piede. Dopo il gol di speedy Gonzalez Leao, mancava la cavalcata d'autore. San Siro ha avuto tutto. Proprio tutto.
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