Si scordi il ciauscolo e derivati dal suino, Roberto Mancini, il figlio delle Marche, oggi diventa il figlio del deserto, così viene chiamata la nazionale saudita di calcio, ecco la verità, nient'altro che la verità sulla famosa «scelta personale» esibita dall'ex commissario tecnico azzurro, già campione d'Europa ma entrato nella storia per la mancata qualificazione al mondiale in Qatar, addirittura premiata con il rinnovo dell'incarico e nuove gratificazioni professionali.
Tutte chiacchiere e distintivi, il Mancio d'Arabia non poteva rifiutare una duna di denari quasi pari, ripeto quasi, ai milioni incassati nella lunga, precoce e proficua carriera, di calciatore prima e di allenatore dopo, nei vari territori europei. Si chiude, per il momento, la farsa di questo bell'uomo e ottimo allenatore che ha interrotto la sua contraddittoria avventura azzurra macchiando la propria immagine più di quella della nostra nazionale. Una misera bugia, tipica della sua astuta arroganza, un tradimento dell'impegno che aveva assunto anche nei confronti dei ragazzi del gruppo azzurro, un comportamento capriccioso di un ragazzo viziato che da sempre ha approfittato, al di là dei propri effettivi meriti di campo, di cortigiani e violinisti a lui riverenti nel nome dell'amicizia goliardica.
A confronto l'epilogo della missione di Giampiero Ventura fu logica, esonero doveroso, seguito dalle dimissioni del presidente federale, dopo la mortificazione del mancato viaggio in Russia, avvenne senza cercare scuse o definendosi incompreso se non la richiesta di onorare i restanti 866mila euro del contratto.
Mancini viaggia su conti correnti diversi, la sua scelta è comprensibile, soltanto gli ipocriti si indignano per l'offerta clamorosa ma l'errore grossolano sta nella forma e nel comportamento, nessuna parola chiara, nessun ammissione di una svolta professionale anche comprensibile ma addirittura il vittimismo di chi presume di essere non soltanto più bravo ma anche più intelligente degli
astanti.Tradimento e fuga, accompagnato dalla folta corte di avidi collaboratori, evito l'accenno ad Ali Babà. Prevedo che nel bagaglio appresso ci sia comunque una lettera di dimissioni. Anche con gli emiri, meglio premunirsi.
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