Le vele oscure della "Perla Nera": cosa serve a Spalletti per il Napoli

A una città pazza serve un allenatore pazzo. Il toscanaccio e il Vesuvio: una divina follia?

Le vele oscure della "Perla Nera": cosa serve a Spalletti per il Napoli

Ne avessimo il potere, suggeriremmo a mister Luciano Spalletti, dal prossimo 1° luglio alle redini del Calcio Napoli, di ascoltare una canzone napoletana e farne una specie di inno personale: “M’aggia curà”. Si tratta di un brano del 1940 di Gigi Pisano e Giuseppe Cioffi. Il protagonista è afflitto da delusioni d’amore che gli cagionano un mal di testa da uscire pazzi. Proprio in quel 1940 iniziò lo stillicidio degli Alleati su Napoli, 200 raid aerei tra ricognizioni e bombardamenti che fino al 1944 avrebbero causato oltre 20mila morti tra i civili. Eppure la città era ancora una capitale europea del cafè chantant e della rivista. Per cui l’ora buia della guerra era stata illuminata comunque dal fuoco artistico.

La canzone “M’aggia curà” è figlia di questo spirito indomabile. “Mi fermo qua, mi fermo là/ e a squarciagola mi metto a contare da uno a trecento! È pazzo ‘o ‘i'! È pazzo ‘o ‘i'!/ ‘A gente dice: Fuite, fui’!” (traduzione: Mi fermo qua, mi fermo là/ mi metto a contare a squarciagola da uno a trecento! È pazzo lo vedi! È pazzo lo vedi!/ La gente dice: scappate, scappate!). Ce ne sono numerose interpretazioni, da Nino Taranto a Lina Sastri, da Vittorio Marsiglia a Oscar Di Maio. Ma che c’entra questa canzone con Spalletti? Dopo le meraviglie ancelottiane e i veleni gattusiani a Napoli serve tuffarsi e immergersi nella sua stessa pazzia. Un po’ “divina ispirazione” dei greci antichi (che quasi 480 anni prima della nascita di Cristo fondarono questa città partendo da un isolotto e da una collinetta e la chiamarono come una sirena, Partenope, cioè una creatura metà donna e metà pesce), un po’ proprio follia di strada, orizzonte colto e popolare a un tempo (pensiamo al borghese Eduardo De Filippo in ‘Ditegli sempre di sì’ o al pazzariello Totò de ‘L’oro di Napoli’, col grido “Attenzione! Battaglione! È asciut’ pazz’ o’ padrone!”). Sarebbe nitroglicerina pura un mister Spalletti che sulla panchina biancazzurra desse iconica rappresentazione a questa follia. E qui non è questione tanto di posizioni in campo, se si possa arrivare a vedere 5 o 6 cross decenti verso l’area di rigore avversaria o se Fabiàn Ruiz possa giocare con un rendimento che almeno ricordi un po’ le fiammeggianti prestazioni con la nazionale spagnola. No, è proprio un atteggiamento mentale, una pazzia divertita, un po’ incoscienza scanzonata e un po’ imprevedibilità che renda ogni partita proibita ai cardiopatici, ma a suo modo indimenticabile. Mister Spalletti non ama troppo i dualismi, perché crede fermamente nel concetto di squadra come strumento per raggiungere un bene comune.

Basti ricordare l’epico scontro con l’ottavo re di Roma Francesco Totti nella stagione 2015-2016 (Spalletti subentrò sulla panchina giallorossa al posto dell’esonerato Rudi Garcia il 14 gennaio 2016) e quello con il capitano dell’Inter Mauro Icardi nel campionato 2018-2019. A Napoli oggi re non ce ne sono, c’è il napoletano Lorenzo Insigne (avere giocatori nativi è storicamente importante per la squadra e per la città), c’è l’acerbo e promettente Victor Osimhen, c’è il messicano Hirving Chucky Lozano. Ci sono alcuni eccellenti giocatori reduci dalla cocente delusione per l’esclusione dall’Europa che conta, quella della Champions League, proprio sulla linea del traguardo. Una ciurma bisognosa di un Barbossa.

Avete presente il capitano della saga dei pirati dei Caraibi? La sua nave pirata sembra un vascello allo sbando di ammutinati e apolidi del mare; eppure quando Barbossa comanda l’assalto, quell’equipaggio ritrova un suo senso comune. Perché lui è un pirata con un suo codice, spietato prima con se stesso, incapace di compromessi, alter ego di quella imprevedibile canaglia di Jack Sparrow. Ecco, sarebbe stimolamte un Napoli che sul suo vessillo azzurro come il mare e il cielo calasse di tanto in tanto le vele oscure della “Perla Nera”, il vascello pirata di Barbossa, pardon, di Spalletti.

Che follia sia, dunque: follia nel divertirsi giocando a pallone, follia nel conquistare una piazza vogliosa di riscatto, follia nel cannibalizzare avversari e partite importanti, follia nell’esultare, follia nell’essere sconfitti, follia nelle dichiarazioni spiazzanti in conferenza stampa. Una follia che a fine campionato 2021-2022 ci faccia dire come il ritornello di quella canzone del 1940: “A’ faccia do pazz!”.

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