Qualunque morte lascia uno spazio vuoto, quella di Giampiero Ventrone riempie di angoscia per come è stata improvvisa, imprevista, fulminea. Dalla luce al buio in tre giorni nei quali la febbre era il segnale di allarme, lui non riusciva a capire mentre Cinzia, sua moglie, vagava, impaurita, nell'affanno: leucemia mieloide, la sentenza, senza appello. Giampiero ha concluso una vita bellissima in una mattina napoletana, quella era la terra di speranza, rifugio e origine, potevi annusare la sua felicità quando parlava e gli brillavano gli occhi. Non è stato soltanto un preparatore atletico, Ventrone ha proseguito la sua missione di militare insegnando l'arte del sacrificio e dell'appartenenza, dell'impegno e della sofferenza, rinunce necessarie per arrivare al risultato migliore: la salute del corpo nella sua sanità anche mentale, come insegnava Giovenale. Riuniva da solo le funzioni che oggi vengono distribuite in varie figure dello staff, preparava atleti, sollecitava uomini, la sua chimica naturale aveva trovato la realizzazione a Torino con la Juventus, l'aveva portato da Napoli, Marcello Lippi. Fu la rivoluzione, l'allenamento diventò lavoro duro e fatica, lui inventò la campanella della vergogna, chi non riusciva a tenere il ritmo del lavoro era costretto ad agitarla, era la ritirata da perdente. Ravanelli lo portò all'Ajaccio, poi ci fu il Catania, quindi l'esperienza cinese con Capello e Cannavaro.
Nel senso di vuoto, mille voci stranite, lo sconcerto di Harry Kane, capitano del Tottenham (dove Giampiero aveva seguito Conte), l'affetto di Antonio Giraudo che lo trattenne alla Juventus, il senso di dolore del dottor Castellacci medico della nazionale campione del mondo, parole forti e lacrime vere. Giampiero Ventrone suona la sua campanella. Ora riposa a Napoli.
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