«Mi si nota più se vengo e sto in disparte o se non vengo del tutto?». In realtà Venus Williams ha risolto l'eterno dilemma di Nanni Moretti presentandosi alla festa di Birmingham e uscendone vincitrice. E questo ne alimenta il mito, ma di certo non depone a favore del tennis femminile attuale, visto che la 7 volte vincitrice di uno Slam - sorella maggiore e sodale di Serena - conta 43 anni. E non giocava da tempo. Insomma: il match di primo turno dell'altro giorno contro Camila Giorgi, sconfitta al tie break del terzo set, è finito con un'esultanza quasi scomposta (per chi conosce Venus), con la quale ha gettato tutta la sua disistima (storica) nei confronti dell'italiana alla fine di un match con molti sgarbi reciproci. La chiosa finale, «lei gioca sempre benissimo, non capisco perché non sia la numero uno del mondo», è una perfida verità che si estende su tutto un movimento in cerca di un'erede delle Williams con buone giocatrici, generalmente tutte uguali. Questo è in pratica è il punto, se davvero basta un'ex giocatrice con una vistosa fascia sul ginocchio e dei cronici problemi di salute a risvegliare l'interesse in un circuito, in cui è francamente difficile ricordare perfino le vincitrici degli ultimi Major (provateci...). E quindi: viva Venus, campionessa predestinata, ragazza intelligente, che si è divisa un'era tennistica con Serena sotto la guida attenta di papà Richard.
Ma caspita, davvero c'era bisogno di lei per risvegliare l'attenzione intorno al tennis femminile? Corrado Barazzutti, che delle azzurre è stato in passato Ct di Fed Cup, ha commentato così: «Venus Williams è stata una campionessa, ma se è ancora in grado di vincere partite nel circuito maggiore a 43 anni, battendo una top-50 come la Giorgi, indica che, a mio avviso, il livello generale del tennis femminile si è abbassato». Come non essere d'accordo, e chissà cosa succederà oggi se Venus dovesse bissare l'impresa con la Ostapenko, una capace di vincere Parigi nel 2017. Poi, appunto, è finita in disparte. Come tante dopo di lei.
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