A volte anche la Formula uno sa regalare storie belle. Che diventano ancor più belle se di mezzo c'è una Ferrari che fa doppietta e allunga nel mondiale. Perché vincono tutti nel catino incandescente dell'Hungaroring. Vincono i trionfatori e vincono i perdenti, vincono le macchine e vincono gli uomini. Vettel e Raikkonen, 9 decimi fra loro, seconda doppietta stagionale, la numero ottantatré della storia rampante, quarto centro del 2017, zampata in campionato con il vantaggio che lievita da un insipido e inquietante punto a quattordici gustosi e incoraggianti punti su Hamilton e, apoteosi, il tutto con arrivo in parata. Davanti Seb Vettel con sterzo ballerino e faticoso e urletto bambino «daiii, un'altra bandiera a Maranello vaiii, forza Ferrari, grazie ragazziii...». Dietro e praticamente accanto ma in silenzio Kimi Raikkonen dopo, va detto, aver a lungo parlato in corso gara chiedendo al box di passare, «sono più veloce, auto ok, perché Seb non si dà una mossa, please please» il senso del suo chiacchierare a trecento all'ora. Ma niente da fare.
Doppietta, dunque, e più di così non si può. Eppure, più di così si può. Perché quando l'uomo prevale sul mezzo e la lealtà sull'adrenalina e gli egoismi agonistici, allora si stravince. Il paradosso è questo, e i tifosi di rosso vestiti dovranno farsene una ragione: a vincere ieri, qui, è stata la Ferrari e a vincere ieri, qui, sono stati anche la Mercedes e soprattutto Hamilton. A vincere ieri, qui, sono stati pure loro persino nel caso in cui l'umano gesto a fine stagione si rivelasse una umana cazzata. Perché dopo il cambio di gomme e il passaggio sulle soft, dopo aver visto che Hamilton, rimasto imbottigliato al via in quinta posizione causa le scorribande Red Bull, aveva ripreso a volare, il team germanico, giro 45, ha ordinato a Valtteri di cedere la posizione e spiegato a Lewis che avrebbe avuto cinque giri, poi diventati di più, per tentare l'assalto alle rosse distanti una manciata di secondi, dopodiché avrebbe dovuto ricedere la posizione. Il tre volte campione del mondo ci ha provato, inutilmente, e a settecento metri dal traguardo ha ubbidito. Anche se Bottas era, sì, quarto, ma lontano sette secondi.
Cose mai viste nella formula uno moderna, ultimi gesti avvicinabili a questo, però plateali e forse anche sgraditi ai destinatari, quelli di Ayrton Senna per Gerhard Berger nel '91, quello di Jacques Villeneuve per Mika Hakkinen nel '97, quello di Barrichello per Schumi a Zeltweg 2002. Quanto andato in scena ieri all'Hungaroring è invece completamente diverso: perché Hamilton è un tre volte campione del mondo in piena lotta per il titolo e come tutti i cannibali fenomeni avrebbe potuto non rispettare il patto. L'ha invece fatto. Per volontà, sbaglio, errore, non importa. L'ha fatto. Si saprà poi che l'unico contrario era Niki Lauda, da qui, pare, il gesto di stizza con cui Wolff aveva reagito parlando con l'austriaco. Fatto sta, il capo Mercedes nel dopo gara ha detto cose belle tipo «eravamo stati chiari, avevamo detto a Bottas di cedere il posto pronti a ridarglielo. Noi non abbiamo paura di fare così, lo spirito sportivo che ci ha permesso di vincere tre titoli mondiali di fila è questo e se alla fine mancheranno tre punti, vorrà dire che avremo perso ma mantenendo lo spirito che ci consentirà di vincere ancora in futuro».
Loro hanno fatto così. La Ferrari ha fatto cosà. Vettel, Marchionne in lacrime, Arrivabene commosso e il popolo di rosso vestito tutti giustamente strafelici. Raikkonen meno. «Avrei voluto vincere, avrei voluto restare di più in pista prima del pit perché ero più veloce... però capisco le esigenze del team e della doppietta».
E stavolta, sembra incredibile, ma l'unico che lo può capire è proprio Lewis: «È stato durissimo rallentare di 7 secondi all'ultima curva, ma sono un uomo di parola e sono contento di averlo fatto. Spero solo che alla fine questi tre punti non mi costino il mondiale».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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