Stampa russa nel mirino assassinato a Mosca manager della Itar Tass

Accoltellato a casa sua. Tre omicidi in poco più di un mese

Marcello Foa

E tre, in poco più di un mese. Così va la Russia che, anziché trasformarsi in un Paese normale e sicuro, sembra ritornare al far-west di inizio anni Novanta, quando era d’uso regolare a colpi di revolver le dispute di potere, sia politiche che commerciali. Il 13 settembre è stato ucciso il vicegovernatore della Banca centrale, Andrei Kozlov; il 7 ottobre la giornalista Anna Politkovskaya; ieri il direttore amministrativo dell’agenzia Anatoli Voronin. Aveva 55 anni ed è stato pugnalato nel suo appartamento nel centro di Mosca.
Quale sia la ragione dell’omicidio nessuno lo sa. D’altronde è sempre così. Prendiamo l’assassinio di Kozlov? Ieri la procura generale ha annunciato la cattura dei sicari. Si tratta di tre ucraini originari della città di Luhansk, che a Mosca vivevano di espedienti. Erano stati assoldati per pedinare il numero due della Banca centrale russa; poi improvvisamente hanno ricevuto l’ordine di freddarlo, fuori dello stadio di calcio dove giocava lo Spartak. I tre hanno confessato le loro responsabilità, ma sostengono di non sapere chi fosse il mandante: ricevevano gli ordini - e la conseguente lauta ricompensa - da un russo di cui non sapevano nemmeno il nome; men che meno il movente. Kuzlov era stato loro descritto come «un banchiere disonesto con troppa brava gente». Tanto bastava per spedirlo all’altro mondo.
Mai sapremo per conto di chi agiva il giovane vestito di nero che dieci giorni fa ha eliminato la coraggiosa, commovente Anna, l’inviato del quotidiano Novaya Gazeta, che con le sue inchieste ha denunciato gli orrori compiuti in Cecenia dalle truppe russe e dalle milizie pro-Cremlino. Anna aveva molti nemici, a Mosca, negli ambienti governativi, e a Grozny, specialmente nel clan del premier Ramzan Kadyrov.
Ma chi può aver voluto la morte dell’alto dirigente della Itar-Tass? Ieri Svetlana Petrenko, portavoce della procura, non escludeva che l’omicidio potesse essere riconducibile alla vita privata di Voronin, ad esempio a una lite. Ma le modalità non sono quelle dell’omicidio passionale. Il manager ed ex giornalista era rientrato proprio ieri dalle vacanze. L’autista lo ha atteso per tre ore sotto casa; poi, non ricevendo risposta, è salito. La porta era aperta. Voronin giaceva in una pozza di sangue; l’appartamento a soqquadro. Gli omicidi cercavano qualcosa, verosimilmente dei documenti.
Ai tempi dell’Unione Sovietica, la Tass era il canale d’informazione privilegiato della nomenklatura del Partito comunista; dopo il crollo dell’Urss ha cambiato nome, assumendo quello di Itar-Tass ed è rimasta la principale agenzia di stampa del Paese, peraltro ancora sotto controllo statale. Ha 74 redazioni in tutta la Russia, e 65 uffici di corrispondenza nel mondo. È uno strumento di potere ancora molto ambito, che negli ultimi anni ha trovato stabilità economica, grazie proprio a Voronin.

Può darsi che nell’opera di risanamento abbia toccato interessi sensibili oppure che si sia opposto a qualche gruppo economico legato alla criminalità organizzata che aveva messo gli occhi sulle ingenti proprietà immobiliari della Itar-Tass. O, infine, è possibile che non fosse più gradito politicamente. Certe pratiche di licenziamento possono essere straordinariamente brusche nella Russia di oggi.

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