Roma - La contrattazione differenziata su base territoriale è un vecchio pallino della Lega Nord. Ma quando questa formula viene semplificata con l’espressione «gabbie salariali» ecco che ritornano alla memoria le lotte e gli scioperi degli anni ’60 e ’70 con Cgil, Cisl e Uil a guidare masse operaie contro le differenziazioni del salario minimo su base provinciale. Solo che il Senatùr non ha mai abbandonato questo progetto e nell’ultima campagna elettorale è tornato a riproporlo. Ieri, però, il presidente della Camera, Gianfranco Fini ha imposto il proprio personale stop.
«Personalmente non credo che il ritorno al passato di una diversificazione territoriale dei salari produrrebbe alcunché di positivo perché si darebbe un messaggio disgregante ai territori più deboli del Paese», ha detto Fini nel corso di un convegno al quale partecipava anche il numero uno di Confindustria, Emma Marcegaglia. La «via da percorrere», secondo la terza carica dello Stato, è quella di una «maggiore libertà contrattuale sul piano territoriale ed aziendale, che consenta alle parti sociali di legare le retribuzioni ai livelli effettivi di produttività ed alla disponibilità di manodopera, indipendentemente dalla collocazione territoriale delle imprese».
«I lavoratori vogliono soldi in busta paga e non vogliono lasciarli allo Stato», ha replicato il segretario federale della Lega e ministro delle Riforme. Quindi, prima o poi, si dovrà trovare uno spazio nell’agenda per affrontare la questione. «È una proposta del popolo - ha aggiunto - e diamole il tempo di maturare... Noi ci crediamo».
Il recente proliferare di retroscena e commenti volti a marcare le differenze di pensiero tra il leader leghista e la componente del Pdl più vicina al presidente della Camera ha ingigantito le proporzioni di questo dibattito. In realtà, non c’è nessuna smagliatura perché, come ha spiegato il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, è «un non problema». La Lega, ha sottolineato, non ha chiesto le gabbie salariali ma «ha sollecitato un’adeguata differenziazione territoriale dei salari e questo è il risultato del nuovo modello contrattuale».
La riforma siglata da Cisl, Uil e Ugl nello scorso gennaio ha posto la parola fine a una lunga querelle sui modelli da adottare e «nella contrattazione decentrata le intese rifletteranno gli obiettivi aziendali, la produttività e anche il costo della vita del territorio ma è il frutto di scelte libere e responsabili degli attori sociali». Comunque, ha concluso il ministro, «nessuno, neanche la Lega, pensa a riproporre meccanismi centralizzati e amministrativi sui salari».
La riapertura, seppure a livello di pour parler, di un fronte già chiuso non poteva non indispettire le parti sociali. «Siamo contrari ad ogni logica dirigistica che porta all’indicizzazione dei salari», ha ribadito il presidente di Confindustria Marcegaglia ricordando che la riforma siglata a gennaio favorisce «un migliore incontro tra salari e produttività in una logica aziendale», perciò «l’eventuale differenziazione dei salari deve nascere azienda per azienda». Analoghe valutazioni sono giunte dai segretari di Cisl e Ugl.
Per Raffaele Bonanni e Renata Polverini si tratta di un «falso problema» perché la differenziazione c’è già e, in ogni caso, «bisogna ridurre la pressione fiscale sui salari». Ma Umberto Bossi di tutto ciò sembra non preoccuparsi: «Io e Berlusconi stiamo bene insieme. E poi come faccio io senza di loro, e soprattutto come fanno loro senza di me?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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