Si suda e si lotta. Ma l'erede di Crowe ha poco carisma

Storia e finzione si intrecciano. Doppio imperatore e trame oscure nell'antica Roma

Si suda e si lotta. Ma l'erede di Crowe ha poco carisma

«Al mio segnale, scatenate l'inferno». Una frase entrata nella storia del cinema e che, pronunciata, richiama alla mente un kolossal come Il Gladiatore (del 2000), vincitore di 5 premi Oscar, tra cui miglior film e miglior attore a Russell Crowe. Ora arriva il sequel del blockbuster di Ridley Scott, Il Gladiatore II (da giovedì nelle sale), sempre firmato dal regista 86enne. Non aspettatevi, però, frasi destinate ad essere scolpite nel tempo e, in generale, dimenticate le suggestioni del capostipite. Siamo davanti a un film bello, ma non bellissimo, spettacolare, ma non iconico, testosteronico, ma non emozionante, impressionante, ma non epico. Avete presente la candidatura di Kamala Harris al posto di Biden per la corsa presidenziale, fatta come un naturale passaggio di consegne, senza rotture col passato? Ecco, questo seguito è esattamente quello che ti potresti aspettare, nel pieno rispetto del mito, senza correre rischi. Certo, la scelta della Harris è stata bocciata dalle urne e vedremo se la trama lineare di questo secondo Gladiatore sarà, invece, premiata dal botteghino e, soprattutto, dall'Academy. Per dire. Nick Cave aveva scritto un ipotetico sequel nel quale il defunto Massimo Decimo Meridio, dopo essere arrivato nell'aldilà, veniva rispedito sulla Terra da Giove, ritrovandosi a vivere per l'eternità, combattendo tutte le guerre più importanti, fino a ritrovarlo, ai giorni nostri, impiegato al Pentagono. Sarebbe stato un gran stravolgimento. Con Il Gladiatore 2, invece, si è andati sul sicuro, lasciando riposare in eterno il buon Massimo (e, di conseguenza, escludendo Crowe), puntando ad un logico continuum.

Il film, infatti, è ambientato nel 200 d.C., a vent'anni di distanza dalla morte dell'eroico Massimo Decimo Meridio. Chi raccoglie, simbolicamente, la sua daga è Lucio, impersonato da Paul Mescal, che viene fatto prigioniero di guerra, in Numidia, e trasportato, come schiavo, in quel di Ostia. Qui, dopo aver dimostrato le sue doti di lottatore, grazie ad una rabbia non comune, finisce per essere adocchiato e comprato da Macrinus (Denzel Washington), ex schiavo e ora «procuratore» di nuovi talenti da buttare nelle arene, non senza secondi fini di potere. Tra i due, viene siglato una sorta di patto, con Lucio che vuole diventare famoso, come gladiatore, per potersi vendicare, prima o poi, di Marco Acacio (Pedro Pascal), famoso generale romano che, durante la battaglia sulle coste africane, aveva ucciso, a Lucio, la donna della sua vita (vi ricorda qualcosa di analogo nel Gladiatore?). Acacio è sposato con Lucilla (Connie Nielsen), figlia di Marco Aurelio, che già avevamo visto nel primo episodio. Il tutto, in una Roma governata dal campo largo, cioè da due imperatori, Geta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Echinger), che rischia di scoppiare nel caos alimentato dal perfido Macrinus. Di più, non riveliamo, anche se basterebbe guardare il trailer ufficiale per sapere quali siano i veri genitori di Lucio, un errore che toglie, allo spettatore pagante, il gusto di uno dei rari colpi di scena del film.

La domanda che, però, interessa ai lettori è: com'è Il Gladiatore II? Quella firmata da Ridley Scott è una pellicola (che tali non sono più) visivamente ambiziosa, un giocattolone che diverte tantissimo, ma squilibrato, dove si esaspera la violenza rispetto ad un più coerente arco narrativo; shakespeariana, sanguinosa, dalla forte componente spirituale e con evidente sottotesto politico su corruzione e potere, con tanto di discorso finale Democratico (sull'abrogare le differenze e trasformare le spade in vomeri). Con qualche tamarrata (qualcuno la chiamerebbe licenza poetica, ma vabbè), come gli squali che arricchiscono una naumachia (questa, sì, storicamente provata) nel Colosseo, anche se sappiamo che le incongruenze storiche non sono mai state un problema per il buon Scott, che non gira certo dei documentari. Insomma, qui prendi Cecil B. DeMille, ci aggiungi una buona dose di testosterone e fantasia e hai il sunto di questa regia di Ridley. Basterà per mettere finalmente le mani su un Oscar? Veniamo agli attori. Paul Mescal, beniamino indie, ma vergine a livello blockbuster (e si vede), quando combatte nell'arena non fa certo rimpiangere Crowe. Il problema, semmai, è il suo carisma. Quando deve interagire con altri uomini, trasformandosi in leader, non riesce mai a catalizzare la scena. Ascoltandolo, non capisci perché uno dovrebbe farsi convincere a sacrificare la propria vita, se non per esigenze di copione. Del resto, la colpa è anche di una sceneggiatura mai capace di farti «innamorare» dei suoi protagonisti. Ne segui le vicende, ma da spettatore disinteressato, a differenza delle sorti che ci legavano, anche con qualche lacrima, a quelle di Massimo/Crowe, a partire dalla scioccante morte della sua famiglia. Qui, per dire, la scomparsa della moglie di Lucio, lascia indifferenti; anzi, finisce nel dimenticatoio. Il vero fenomeno del film è Denzel Washington, semplicemente strepitoso. Il suo machiavellico Macrinus gli farà, quasi certamente, vincere l'Oscar come miglior attore non protagonista. Ruba la scena a tutti, per manifesta superiorità.

E poi ci sono loro, Joseph Quinn e Fred Echinger, i due co-imperatori, Geta e Caracalla (fatto storico), che confermano un talento non comune e che incarnano il pericolo, anche attuale, di far finire il potere nelle mani di politici senza scrupoli, egoriferiti. Pur con i difetti, Il Gladiatore II è uno dei rari film per cui valga la pena pagare il biglietto. Di questi tempi, impresa da gladiatori. Al segnale, scatenate le biglietterie.

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