Esiste un antidoto contro lo sconforto? Viene il sospetto che al San Raffaele l’abbiano trovato e, almeno per il momento, non abbiano alcuna intenzione di rivelarlo all’umanità. Intendiamoci, anche se i laboratori di ricerca del complesso di via Olgettina a Milano, sono tra i più premiati del mondo, l’antidoto in questione non sembra uscito dalla lente di un microscopio, né dall’incrocio fortunato di cellule che interagiscono tra loro per fare un buon lavoro. A meno che non si vogliano considerare «cellule che interagiscono tra loro per fare un buon lavoro» gli oltre 700 medici e 1900 tra infermieri e personale di supporto che, pur travolti dalla furiosa bufera mediatica, resistono imperterriti. Al capezzale dei degenti, come in sala operatoria, come nelle cucine. Entri nella megalopoli del San Raffaele, passi sotto la cupola dello scandalo e non puoi non pensare alla fatture gonfiate, ad un uomo che si è suicidato, portandosi via la sua verità, agli aerei che andavano e venivano non solo e non tanto per scopi umanitari. Persino lo sguardo dell’Arcangelo, alto otto metri, che svetta sulla cupola, ingaggiato da quel «diavolo» di don Verzè per vegliare sulla buona sorte di tutti pazienti e dipendenti, sembra un po’, come dire, disorientato dagli accadimenti di questi mesi. Eppure se ti metti a girare per i padiglioni, se ascolti le conversazioni dei pazienti o quelli dei loro familiari, se ti capita di spiare medici e infermieri all’opera riesce difficile pensare e scrivere che questa corazzata della salute si sia arenata.
La professoressa Maria Grazia Roncarolo, direttore scientifico dell’istituto è la prima rompere gli indugi: «Abbiamo fiducia nella magistratura perché faccia chiarezza, ma abbiamo continuato e continuiamo a lavorare in questo posto perché siamo convinti che questo sia l’ospedale dell’eccellenza. Che questo sia il luogo dove la ricerca medico-scientifica in Italia ha prodotto i risultati migliori portando alla conoscenza e allo sviluppo di terapie d’avanguardia, che si traducono in pubblicazioni, brevetti e in studi clinici. Nel 2010 i ricercatori del San Raffaele hanno pubblicato 832 articoli scientifici su riviste internazionali prestigiose. Attualmente il San Raffaele ha 250 brevetti attivi. 566 sono gli studi clinici in corso con più di 10.500 pazienti arruolati». «Dicono che prendiamo troppi finanziamenti istituzionali, io direi che rispetto alla mole di risultati che produciamo ne prendiamo troppo pochi: 18,2 milioni di euro l’anno scorso e quest’anno 17,1. Fondi pubblici che utilizziamo per pagare i ricercatori e le infrastrutture che servono loro. Un budget che abbiamo rendicontato fino all’ultimo centesimo e che non avremmo alcuna difficoltà a rendere pubblico nel dettaglio». Mantenere la barra dritta per governare la corazzata con lucidità anche in acque tempestose. Per questo può essere d’aiuto il professor Enrico Smeraldi, capo del Dipartimento di Psichiatria. «Nel 1988, quando mi chiamò don Verzè, per invitarmi a far parte della squadra del San Raffaele, ciò che mi propose, per la verità ad un’ora insolita per un offerta di lavoro visto che era mezzanotte, era una sfida sensazionale: costruire un dipartimento di psichiatria moderno e proiettato nel futuro, considerato che allora la psichiatria soffriva di un enorme ritardo tecnologico e metodologico. Il San Raffaele aveva da poco acquisito Villa Turro, che sembrava un manicomio degli anni ’40. Ebbene con i finanziamenti che quest’ospedale ci ha messo a disposizione abbiamo realizzato un polo di riferimento che affianca alla psichiatria, la psicologia ma anche una parte della neurologia per curare la demenza e i disturbi del sonno». Oltre 48 mila i pazienti ricoverati quest’anno (dati al 31 ottobre) 11 dipartimenti che offrono supporto clinico per 49 patologie. E ancora, 700 medici e 1900 tra infermieri e personale ausiliario. Una struttura, quella di via Olgettina, che si estende su una superficie di 300mila metri quadrati. E 26 sale operatorie a regime. Dalle quali, in camice verde, appena uscito, incontriamo un altro illustre nome della chirurgia vascolare, il professor Roberto Chiesa. «Quattordici interventi il 23 Dicembre, tutti i letti occupati, sono il segnale che la gente si rende conto che lo scandalo non ha inficiato minimamente il livello d’eccellenza clinica. Potrei dire che l’eccellenza dà fastidio e, siccome noi, per anni, siamo stati l’eccellenza, è innegabile che a qualcuno questo nostro attuale disagio faccia quasi piacere. Ma quando si entra in sala operatoria, io penso che si voglia affidare la propria salute, la propria vita, a professionisti che meritano fiducia. Se chiedessi anche adesso a molti colleghi di venire al San Raffaele sarebbero in molti a rispondere di sì. Perché in questo luogo la base è sana, perché è questo il vero sistema San Raffaele: l’orgoglio del gruppo, l’orgoglio di fare un buon lavoro, ogni giorno. Così anche i fornitori, sì anche i fornitori che non venivano pagati, non ci hanno mollato e quindi non è mai mancato e continua a non mancare nulla né in sala operatoria né nei reparti».
Millenovecento. Provate ad immaginarle. Un esercito di persone che tra infermieri, personale di supporto e di ostetricia, assiste i circa 50mila degenti che transitano dal San Raffaele. Anna Maria Rossetti ha il compito, non facile, di governare questo esercito. «Non vedo l’ora che si spengano i riflettori sul nostro ospedale perché i pazienti e i loro familiari con cui noi abbiamo sempre avuto un rapporto straordinario possano rendersi conto che nulla è cambiato dentro questa mura. Vede io sono qui dall’83, ho fatto qui tutta la mia carriera e so che differenza fa saper ascoltare i pazienti». Parole che vengono riprese da un altro camice verde, Elisabetta Bassani, che coordina gli infermieri, oltre 200, in servizio nel blocco operatorio. «La sala operatoria è un luogo di sofferenza, di paura. Per questo è importante tutelare il paziente allontanando dai nostri pensieri il bombardamento di notizie che ci dipingono come non siamo mai stati. Noi vediamo i pazienti in una fase difficile del loro percorso ospedaliero ma nessuno ci ha mai posto la domanda: posso ancora fidarmi di voi? Avete tutto quelle che serve?». Forse, dati i recenti avvenimenti, saranno in molti a pensarci su, almeno per qualche tempo prima di donare il proprio denaro al San Raffaele ma altre donazioni ben più importanti del denaro, invece, continuano. A confermarlo è il dottor Silvano Rossini responsabile del Servizio immunoematologia e medicina trasfusionale. «Il messaggio che ci manda la gente sembra piuttosto chiaro: venire qui per donare il proprio sangue significa credere nell’attività sanitaria del San Raffaele.
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