Dalle forze speciali alla ricerca del Guinness: Luca Fois e le 86 cime delle Dolomiti

Prima nei paracadutisti, poi nel Nono col Moschin. Ora Luca Fois punta ad entrare nel Guinness dei record (e a lasciare qualcosa alle comunità montane)

Dalle forze speciali alla ricerca del Guinness: Luca Fois e le 86 cime delle Dolomiti

Cominciamo con l’interrogatorio: chi sei?

Mi chiamo Luca Fois e sono stato sottufficiale del comparto operazioni speciali per vent'anni. Ho passato dieci anni nelle forze speciali e altrettanti nei paracadutisti.

Come mai hai scelto la vita militare?

Un po’ per romanticismo (ho fatto l’ultima leva e non ero obbligato a partire). Avevo degli amici che avevano fatto i paracadutisti negli anni ’90 e avevano delle storie da macho (qualcuno era stato pure in Somalia). Si era costruita l’idea che la forza armata fosse un mezzo per viaggiare, per studiare (dicevano che ti pagavano i corsi) e io sono cresciuto in un quartiere brutto di Milano dove o facevi il ladro o la guardia: non esistevano altre vie. La vita militare è stata quindi anche una via di fuga. Poi però ti scontri con la realtà: all’epoca infatti non c’era la professionalizzazione che esiste oggi, ma ho imparato a fare cose che mi sono state utili.

Molti pensano che i soldati, soprattutto delle forze speciali, siano dei Superman…

Ero l’anti soldato per eccellenza e non sapevo fare niente: pesavo 68 chili e mi mancavano cinque diottrie. Ho mentito per entrare. Ho piegato le ginocchia e ho fatto il laser dopo il Libano. Ero un nerd, assolutamente non idoneo, però ci tenevo.

Cosa facevi una volta entrato nell’Esercito?

All’inizio tagliavo l’erba, facevo l’elettricista, piccoli lavoretti. Aveva senso all’epoca. Non l’avrei fatto tutta la vita ma in quel primo periodo aveva senso. La mia fortuna è stata quella di salire di livello, mano a mano. Sono entrato nei paracadutisti e lì c’era qualcuno scartato dalle forze speciali.

Com’è stata la vita nelle forze speciali?

All’epoca come me lo aspettavo. Il tuo training era propedeutico a quello che avresti potuto affrontare. Ora è un training superiore rispetto alle esigenze dell’Italia. Nel mio periodo si usava sangue vero, si somministravano piccole inoculazioni di stress fino a far diventare i soldati resistenti al trauma. E questo ha formato molte persone. Tanti giovani americani che ho visto invece non erano molto preparati. Il livello era alto, eravamo proiettati in un teatro dinamico e in evoluzione. Ho fatto i miei primi tre turni – 2011, 2012 e 2013 – da operatore. Ho fatto poi il primo corso basico misto delle forze speciali. Eravamo noi, c’era ancora il Riam (l’aeronautica), i ranger e gli incursori.

Luca Fois

Cosa ti hanno dato?

Nelle forze speciali ho imparato a studiare, sia la tecnica (il metodo universitario) sia l’organizzazione. Si generava un meccanismo per cui chi era più bravo in una materia diventava il supporto per gli altri. Si riproponeva lo stesso modus operandi anche all’interno dei distaccamenti: chi era responsabile di una branca diventava esperto di quella cosa e, a prescindere dal grado, aiutava gli altri. Le forze speciali premiano l’expertise del singolo rispetto al grado: è un valore aggiunto per qualunque realtà

Di questa esperienza nelle forze speciali cosa ti porti dietro?

La volontà di evolversi e progredire. Ero paracadutista, sono diventato incursore, poi istruttore degli operatori. Mi è rimasto lo stimolo che ti danno certi reparti, uno stimolo a non adagiarti e ad ambire al meglio. Quando capivo che non potevo fare più il mio meglio, ho cercato qualcosa in cui potessi essere bravo. Fisicamente non ero più in grado di servire, avrei potuto ancora qualche anno, ma ho deciso di uscire. Sarei potuto ricadere nella security o pmc all’estero. Non era quello che mi dava passione però. Le forze speciali generano persone che sanno fare bene qualcosa perché a loro piace quella cosa.

E così sei arrivato alla montagna…

Negli anni avevo maturato questa passione e allora ho chiamato un mio collega dicendogli che volevo fare un record: i 4mila delle Alpi, ma era già stato fatto. “Non c’è un record delle Dolomiti sopra i 3mila”, mi dice un altro amico. Le cime sarebbero 120, anche se sono state ridotte a 86. Allora ho detto ok, proviamoci. Quelli delle Dolomiti non sono percorsi difficili per ragioni di quota, ma perché si stanno ritirando i ghiacciai; molte vie sono pericolose, la roccia è marcia. Allora mi son detto: battiamo il record ma diamo qualcosa alla comunità. Visto che non ci sono dati aggiornati della roccia, dei ghiacciai, ho deciso di trovare un ente che mi supportasse e ho trovato il grande aiuto dell’Associazione nazionale Alpini (Ana). Ho deciso di fare una relazione dopo aver fatto una cima: “Quella via è frequentabile, non lo è, perché ecc”. L’idea è: torniamo indietro con questo report. Questo è il mio obiettivo per il 2025,

Chi ti accompagnerà?

Verranno con me due amici e veterani:, Michael Turconi ed Emanuele Chessa.

Cosa ti resta della tua prima vita? E cosa ti aspetti da questa nuova sfida?

Il reggimento mi ha dato tanto e si è preso tanto da me. Sto rimettendo adesso insieme i pezzi.

Vorremmo partire nella stagione estiva, nel luglio 2025, e concludere in 86 giorni. Raccoglieremo dati, tracciature gps, fotografie. Poi se il Guiness riconoscerà quello che ho fatto sarà un onore per me, altrimenti produrrò comunque un buon report aggiornato per la comunità.

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