La strage degli operai alla Goodyear «Per i manager 31 anni di carcere»

Processo in corso a Latina, chieste pene severe per i vertici aziendali

Mielomi. Neoplasie. Tumori della vescica. Una Spoon River ancora in corso. Trentaquattro croci - contabilità provvisoria - che per il Pm Gregorio Capasso chiamano in causa i vertici della Goodyear. Nello stabilimento di Cisterna di Latina gli operai respiravano le polveri di nerofumo e l’amianto. Così per un periodo lunghissimo; Capasso chiede dunque la condanna di otto dirigenti della casa produttrice di pneumatici per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose aggravate, in relazione alle persone che si sono ammalate ma sono ancora in vita.
Per Capasso le responsabilità sono accertate ed evidente il legame fra l’ambiente di lavoro e le patologie emerse in questi anni. Dunque la Procura chiude la requisitoria proponendo pene per un totale di 31 anni: 6 anni per Richard Antony Grano, Presidente del cda della Goodyear Italia fino al 1990; 5 anni e 6 mesi per Arthur Paul Ricchiuti, direttore di produzione dello stabilimento; 4 anni per altri tre dirigenti fra cui Pierdonato Palusci, Presidente del cda di Goodyear Italia dal ’90 al ’96; pene minori per altri 3 imputati; infine la prescrizione, in virtù delle attenuanti generiche, per l’ultimo colletto bianco chiamato sul banco degli accusati. Secondo Capasso, chi aveva il dovere di salvaguardare la salute dei dipendenti, non si sarebbe preoccupato di verificare le condizioni in cui gli operai erano costretti a maneggiare la gomma.
«Lavoravamo dentro l’inferno - ha raccontato al Giornale Fabrizio Roma, sventurato fra gli sventurati, un tumore alla vescica faticosamente superato, un figlio ucciso in fasce da una rarissima malattia, un altro chiuso in istituto con un handicap devastante - toccavamo e respiravamo sostanze velenose, non avevamo alcuna protezione, anzi perfino i guanti che indossavamo erano d’amianto». Così per un quarto di secolo. Poi, nel marzo 2001 lo stabilimento venne chiuso e l’area bonificata.
Il numero dei decessi non è chiaro: la Goodyear contesta frontalmente il legame fra il lavoro e le malattie, i periti della Procura e delle parti civili ritengono quel nesso scientificamente dimostrato. «In realtà - ribattono alla Goodyear - il Pm non ha dimostrato un bel niente. Per 6 casi su 34 lui stesso ha ammesso che il nesso causa-effetto non c’è, per altri 6 l’ha definito probabile, per 4 logicamente probabile e per 15 altamente probabile. Sarà il tribunale a fare giustizia».
In attesa della sentenza, Capasso continua a scavare: un secondo procedimento, ancora in fase istruttoria, prende in esame la morte di altre 40 persone. Non è tutto; l’inchiesta della Procura di Latina ha portato a galla un’altra realtà assai inquietante: almeno due sindacalisti avrebbero intascato contributi in nero dalla Goodyear. In pratica, attraverso il medico aziendale avrebbero ricevuto finanziamenti, nell’ordine dei cento milioni di lire l’anno, che sarebbero serviti per ammorbidire le relazioni dentro la fabbrica ed evitare denunce, contestazioni, richieste di controlli.

Per questo filone, peraltro, la Procura ha chiesto l’archiviazione e la parola finale spetta al gip che potrebbe riaprire il caso o spedirlo definitivamente in archivio.
Il 29 aprile in aula parleranno gli avvocati delle oltre cento parti civili, poi toccherà alle difese. La sentenza è prevista entro giugno.

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