«Stragi in Nigeria, non è una guerra di religione»

«Nell’ultimo anno e mezzo ci sono già stati tre episodi di questo genere, tre massacri. Una volta a farne le spese sono i Fulani musulmani, un’altra volta sono i Berom cristiani. Ma le cause del conflitto non sono innanzitutto religiose...».
Padre Giulio Albanese, responsabile delle riviste missionarie della Conferenza episcopale italiana, è un religioso che conosce molto bene l’Africa. Le sue parole sulla strage che nel giro di due giorni ha portato al massacro di circa 500 cristiani nei villaggi dello stato di Plateau, nella parte centro-settentrionale della Nigeria, fanno eco a quelle pronunciate dal portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, il quale ritiene che «non si tratti di scontri di natura religiosa, ma sociale». La posizione del Vaticano, quindi è questa: la fede c’entra poco, ci troviamo di fronte a qualcosa di più simile a uno scontro tribale ed etnico tipo quello che nel 1994 sconvolse il Ruanda. E la lettura della Santa Sete trova conforto nelle parole dell’arcivescovo di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan, che ieri ha detto ai microfoni di Radio Vaticana: «Facilmente la stampa internazionale è portata a dire che sono i cristiani e i musulmani a uccidersi. Ma non è questo il caso, perché non si uccide a causa della religione, ma per rivendicazioni sociali, economiche, tribali, culturali».
Padre Albanese, come commenta l’uccisione di 500 cristiani?
«Meglio dire cinquecento morti ammazzati, perché non sappiamo se tra le vittime vi siano anche alcuni degli assalitori. E non dobbiamo dimenticare che se questa volta le vittime sono cristiane, l’altra volta erano musulmani, massacrati dai cristiani appartenenti alle sette pseudo-evangeliche. In quelle zone i cristiani sono quasi tutti appartenenti a questi gruppi».
Perché li chiama pseudo-evangelici?
«Perché allo stesso modo chiamo pseudo-musulmani i massacratori islamici. Si tratta di persone che tradiscono la loro religione».
Che cosa c’è all’origine di questi massacri?
«Ricordiamo che in Nigeria l’uno per cento della popolazione detiene il 75 per cento della ricchezza nazionale. E quell’uno per cento è composto sia da cristiani che musulmani. C’è stata e continua a esserci una lotta di potere. La responsabilità è innanzitutto della debolezza del governo centrale di Abuja e della corruzione della società politica. Ci sono certamente bande criminali, eversive, ma c’è anche una tale divaricazione tra ricchi e poveri che è piuttosto facile sobillare e strumentalizzare le masse».
Lei è un missionario, parla di cause sociali. Davvero la componente religiosa non incide?
«Si tratta di un conflitto che ha certamente radici etniche. Pastori nomadi che seguono il loro bestiame attaccano i villaggi degli agricoltori e viceversa. La componente religiosa può giocare un ruolo, ma è comunque strumentale e strumentalizzata per ragioni di potere».
Dunque è un abbaglio presentare questo conflitto come una lotta tra cristianesimo e islam?
«Penso proprio di sì. Bisogna essere molto cauti. La Nigeria è la cartina di tornasole delle gravi contraddizioni presenti nel continente africano. Quel Paese, che galleggia sugli idrocarburi, potrebbe essere un paradiso, invece è un inferno. Molte volte gli attacchi e i massacri - lì ogni volta non muoiono meno di cento o duecento persone - sono studiati a tavolino. Talvolta i sobillatori o gli appartenenti alle bande sono pagati. Ogni anno avvengono due o tre stragi del genere, e non solo a Jos, la capitale dello stato del Plateau. C’è la volontà di indebolire lo Stato centrale, sempre in concomitanza con scadenze elettorali, o come ora, di una presidenza ad interim, come quella di Jonathan Goodluck, un cristiano che ha sostituito il precedente presidente musulmano».
In alcuni Stati nigeriani è in vigore la shaaria islamica. Questo ha influito e come sulla situazione?
«L’introduzione della sharia negli Stati nigeriani del Nord è l’esempio della debolezza del governo centrale. La Nigeria è uno Stato federale e laico, eppure ha accettato la legge islamica. Questo ha rafforzato la presenza di componenti jihadiste, ma ribadisco che sarebbe un errore presentare il conflitto nigeriano come una guerra di religione».
Il presidente ad interim ha detto di aver collocato tutte le forze di sicurezza a Plateau e nelle regioni vicine in stato di massima allerta in modo di evitare qualsiasi estensione del conflitto.
«Purtroppo si interviene sempre dopo, quando i massacri sono avvenuti. Non sarebbe stato difficile prevenirli, con un’azione di intelligence. Proprio questa inazione del governo centrale, questa debolezza, permette ai potentati di agire indisturbati e di manipolare grandi masse di poveri».
La Chiesa cattolica nel Paese ha delle responsabilità?
«Direi proprio di no.

I cattolici in Nigeria sono espressione qualificata della società civile, i vescovi sono sempre puntualmente intervenuti riconoscendo le responsabilità dell’una e dell’altra parte, senza generalizzazioni. Hanno sempre fermamente condannato il ricorso alla violenza. Stanno lavorando per promuovere la convivenza tra cristiani e musulmani».

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