Strazza e la necessità dell’astrattismo

Laura Gigliotti

È dedicata a uno dei più raffinati interpreti dell’astrattismo italiano della seconda metà del Novecento la mostra «Strazza Opere 1960-2006» aperta fino al 7 dicembre al Museo Civico di Marino, l’ex chiesa medievale di Santa Lucia, cornice ideale di antico e moderno.
Pittore, incisore, docente, Guido Strazza, classe 1922, ingegnere, con la passione del disegno fin da giovanissimo, lega la sua carriera d’artista a Marinetti, che incontra a una conferenza, portandogli i suoi disegni. Marinetti non li guarda, ma è prodigo di consigli, presenta i suoi quadri alle mostre di Aeropittura dei futuristi e caldeggia la sua partecipazione alla Biennale di Venezia del ’42.
Per un paio d’anni Strazza fa l’ingegnere, poi la svolta rivoluzionaria, lascia il lavoro e l’Italia e, innamorato degli Incas, s’imbarca per il Perù. Il rilievo topografico di una tenuta a Lima gli apre nuovi orizzonti. È un «paesaggio di assoluta sintesi e immensità», che il linguaggio della pittura figurativa non è in grado di decifrare. E comincia così «a fare l’astratto per necessità». Nonostante il successo ottenuto in Sudamerica, nel ’54 decide di rientrare in Europa dove ferve il dibattito culturale. Venezia, Milano, Roma lo vedono protagonista del rinnovamento nella pittura, nell’incisione, nella didattica. Alla Calcografia si confronta con le tecniche tradizionali e con gli antichi incisori, come Piranesi.
La mostra presenta 39 opere scelte in base al significato che hanno nella ricerca di Strazza sul segno, la luce, lo spazio. Rigore e lirismo le connotazioni salienti della poetica di Strazza. Sia negli anni Sessanta, la stagione della massima adesione all’informale e della perdita dell’oggetto, sia negli anni dei monocromi, della ricerca della simmetria e del centro, sia negli anni Ottanta, con i «Segni di Roma», obelischi, colonne, pavimenti cosmateschi. «Come è possibile che in architetture romaniche così austere vi siano geometrie così lussuriose», si chiede il pittore visitando le chiese di Roma. La matrice è la stessa, un triangolo, un quadrato e via in un’infinita combinazione che diventa preghiera.

E nella sua pittura riemerge il colore, come nei dipinti degli ultimi anni, nell’ordine segnato dalla contraddizione.
Marino Museo Civico Umberto Mastroianni, Piazza Matteotti 13. Informazioni tel. 06-9385681. Orario: dal martedì alla domenica 10-13/16-20. Fino al 7 dicembre.

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