Quando li hanno catturati, ieri all'alba, alcuni di loro si stavano recando tranquillamente al lavoro. E non hanno opposto resistenza agli investigatori della sezione criminalità straniera della squadra mobile che, tra Milano e la Lombardia ma anche in provincia di Novara, si apprestavano ad ammanettarli con accuse che vanno dalla rapina aggravata, alle lesioni fino al porto abusivo di armi senza contare alcuni casi di tentato omicidio, con l'aggravante dell'associazione a delinquere. Quasi impossibile pensare che quei tipi dall'apparenza innocua, assoggettati alla medesima routine che regola la giornata del lavoratore medio, sono gli stessi capi e affiliati di una delle bande giovanili sudamericane più spietate che si conoscano e che solo a New York, l'estate scorsa, in una mega-operazione della polizia, ha portato dietro alle sbarre 158 persone. Veri e propri criminali, armati di pericolosi machete, i giovani della «Ms13» (la sigla sta per Mara Salvatrucha che in italiano significa letteralmente «gruppo di furbi salvadoregni», ndr) se si pensa che se gli uomini accettavano di sottoporsi a violentissime prove di fuoco per entrare a far parte della banda, del tipo «vai e uccidi la prima persona che incontri per strada!» o a farsi vittime consapevoli delle cosiddette «luci verdi», cioè di missioni punitive di gruppo per pestare chi aveva «sgarrato», le donne erano disposte addirittura a farsi stuprare per essere «iniziate» alla banda. Una pratica selvaggia, primitiva, mai emersa prima di questa inchiesta.
Ieri sono finite in cella 18 persone, perlopiù di origine salvadoregna, tra i 17 e i 36 anni, mentre sette di loro erano già in carcere. L'organizzazione è stata smantellata, infatti, partendo da due gravi fatti di sangue: un tentato omicidio avvenuto nel gennaio 2011 alla fermata della metropolitana «Duomo» e un altro episodio simile di un mese dopo in piazza Pompeo Castelli.
Cosa c'è di nuovo in questa indagine? Non certo dettagli di colore già arcinoti, come i tatuaggi con i quali gli appartenenti si decorano abbondantemente il corpo e nemmeno i graffiti nei pressi dei loro ritrovi (decine al Parco Nord, in via Rimini e in via Giovanni da Procida, in zona Sempione), o i codici d'onore e le canzoncine per «rinvigorire» lo spirito battagliero degli adepti e spingerli a «trasformare la Lombardia in un inferno». La banda criminale, molto potente a Milano già dagli albori di questo tipo di formazioni e collegata con il gruppo «originale» in patria, fino a qualche tempo fa, infatti, gestiva la propria sopravvivenza (e il potenziale di pericolosità) esclusivamente all'interno della comunità latino americana milanese.
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