Il Sudamerica vota incas e cocaleros È il trionfo del populismo di sinistra

C’erano già l’ex guerrigliera brasiliana e il venezuelano nostalgico di Simon Bolivar. E ora il Perù elegge un indio che vuol restaurare il potere dell’antico popolo andino

Il Sudamerica vota incas e cocaleros 
È il trionfo del populismo di sinistra

Un altro presidente di sinistra, con tendenze nazionaliste nel nome del passato Incas, esordisce in America Latina. In Perù, l’ex tenente colonnello Ollanta Humala, ha annunciato di aver vinto le elezioni contro la candidata di centro destra. E la borsa di Lima è crollata.
Un nuovo adepto del defunto cortile di casa degli Usa dove governano ex guerriglieri marxisti, convertiti ad un verbo apparentemente moderato, populisti più o meno autoritari e mangia americani, vecchie glorie filo Castro, che oggi si alleano con l’Iran degli ayatollah. Il voto di domenica in Perù ha premiato l’ex militare Humala, 48 anni, con il 51,5% dei voti secondo osservatori indipendenti.

Sconfitta Keiko Fujimori la figlia del discusso ex presidente peruviano. Il nuovo capo dello stato è un nazionalista di sinistra, che non disdegna il populismo in nome dell’antica civiltà Incas. Cinque anni fa venne sconfitto perché parlava troppo apertamente dei suo miti, come Hugo Chavez, il caudillo di sinistra in Venezuela ed il generale Juan Velasco. Quest’ultimo era un dittatore rosso, che nei primi anni settanta espropriò la terra e nazionalizzò l’industria.
Dopo la sconfitta Humala deve aver capito la lezione e adesso si presenta come «un cristiano» di sinistra. I suoi collaboratori lo chiamano «il comandante». Assieme al fratello Antauro tentò un colpo di stato contro Fujimori nel 2000, per poi venir amnistiato. Il Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, ha benedetto l’elezione «come una sconfitta del fascismo. In Perù la democrazia è salva». Humala con i capelli corti e la pelle ambrata ha il fascino del mondo indigeno, che vuole riscattare.

Suo padre gli ha dato un tradizionale nome Incas e ha fondato una dottrina ultranazionalista basata sull'esaltazione del glorioso passato incaico. Per limitare i mal di testa a Washington il nuovo presidente ha dimenticato le parole di elogio per Chavez sostenendo che il Perù sarà più vicino al Brasile. Nel più grande paese del Sud America governa Dilma Roussef, l'ex guerrigliera dell'organizzazione marxista-leninista Vanguarda Armada Revolucionária. La novella presidente era stata soprannominata «la Giovanna d'Arco della sovversione», ma oggi ha assunto toni moderati, dopo aver fatto strada come braccio destro del suo predecessore, Lula da Silva. Il vizietto di aiutare i vecchi compagni, però, è rimasto. Non si è mai opposta alla decisione di Lula di evitare l'estradizione in Italia del terrorista rosso, Cesare Battisti, che dovrebbe venir rilasciato in questi giorni.

La situazione più preoccupante si registra in Venezuela, Ecuador e Bolivia, dove le ambasciate americane sono state chiuse. In Bolivia governa Evo Morales, ex capo sindacale dei cocaleros, i contadini che coltivano le piante di coca. Il presidente combina idee di sinistra con miti andini e nelle cerimonie ufficiali ama presentarsi in panni indigeni. Da fiero avversario dell’«imperialismo» americano si è imbarcato nelle crociate ecologiste per il rispetto di «madre Terra».
In Ecuador tentenna, ma non cade, Rafael Correa, ex seminarista fautore del «socialismo del XXI secolo». Quando il presidente Usa, George Bush, venne bollato come Satana, Correa dichiarò che «il paragone era iniquo per il diavolo».
Il capo fila del nuovo populismo di sinistra nell'America Latina è l'ex paracadutista Hugo Chavez. Golpista fallito nel 1992 si prepara a fare il presidente del Venezuela a vita. Ammiratore dei fratelli Castro ha stretto legami strategici con l'Iran. Il Venezuela ha le più importanti riserve di petrolio del continente ed il suo presidente si ispira apertamente all'eroe sud americano Simon Bolivar.

Pure il Paraguay ha svoltato a sinistra con la presidenza di Fernando Lugo, ex vescovo vicino alla teologia della liberazione. Soprannominato dai rivali il «Chavez del Paraguay» è stato indebolito da alcuni scandali legati a figli segreti concepiti quando era ancora un prelato. In Uruguay, invece, comanda Josè «Pepe» Mujica un ex guerrigliero dei Tupamaros. Idealista e vegetariano ha vinto le elezioni nel 2009. In Centro America è tornato in auge dal 2007 una vecchia gloria del Fronte sandinista, che però ha perso molto dello smalto rivoluzionario e marxista.

Daniel Ortega ha riconquistato la presidenza, ma con la crisi dei fratelli Castro fa l'occhiolino all'Iran. In febbraio, all'inizio della guerra civile in Libia, ha definito il colonnello Gheddafi «un fratello».
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